«No. Ma Chantale ha riconosciuto la compagna di papino. Dice che la fortunata si è diplomata nella sua stessa scuola due anni fa.»
«Cristo. Ha detto anche come si chiama?»
«Aida Pera.»
«Le credi?»
Ryan scrollò le spalle. «Comunque sia, non mancherò di fare due chiacchiere con Aida.»
«Quindi all'ambasciatore piacciono le ragazzine.»
«Ammesso che la figlia dell'inferno dica la verità.»
«Hai interrogato qualcuno dei ceffi di Chez Tante Clémence?»
«Quel piacere mi è stato negato. Pare che i tre siano scomparsi.»
«Avevi ordinato a quei tre stronzi di non lasciare la città.»
«Probabilmente sono partiti per un sopralluogo geologico. I colleghi li fermeranno da qualche parte.»
«E nel frattempo?»
Ryan si tolse di tasca il compact di Nordstern.
«Facciamo la conoscenza di SCELL.»
Estrassi il disco dalla sua custodia, lo inserii nel mio computer e feci clic sul drive D. Comparve il nome di un file: fullrptstem.
«È un file PDF enorme. Più di ventimila kilobyte.»
«Puoi aprirlo?» Ryan si era accovacciato vicino a me.
«Il contenuto sarà illeggibile senza un programma di lettura specifico.»
«Tu ce l'hai?»
«Non su questo computer.»
«Ma non è uno di quei programmi che si possono scaricare gratuitamente dalla rete?»
«Ma non puoi caricarli su un computer di proprietà dello Stato.»
«Dio benedica la burocrazia. Facciamo un tentativo.» E indicò il computer con il mento. «Magari il programma giusto c'è già.»
Aprii il file. Lo schermo si riempì di lettere e simboli suddivisi da righe di puntini che indicavano le interruzioni di pagina e di colonna.
«Maledizione.» Ryan cambiò posizione e le ginocchia scricchiolarono.
Guardai l'ora. Le cinque e quarantadue.
«Sul portatile ho Acrobat Reader. Perché non mi lasci il CD così lo posso studiare e domani durante il volo ti faccio un riassunto?»
Ryan si alzò, le ginocchia scricchiolarono ancora. Sapevo ciò che avrebbe detto prima ancora di sentirlo.
«Potremmo farlo...»
«Questa sera ho molto da fare, Ryan. È possibile che debba stare via per un bel po'.»
«E la cena?»
«Mi compro qualcosa mentre torno a casa.»
«Mangiare così non fa bene al pancreas.»
«Da quando ti preoccupi del mio pancreas?»
«Tutto quel che riguarda te mi preoccupa.»
«Proprio così.» Premetti il pulsante del lettore e il disco scivolò all'esterno.
«Se ti ammali sull'altopiano, non vorrei mai doverti sciacquare le mutandine.»
Valutai se lanciargli il disco. Decisi di non farlo.
Ryan sollevò le sopracciglia. «Perché non ti porti il disco a casa, lo studi, e poi domani mi fai un riassunto durante il volo?»
«Caspita, Ryan. Questa sì che è un'idea.» Infilai il disco nella portadocumenti.
«Passo a prenderti alle undici?»
«Metterò in valigia moltissime mutandine.»
Un camion si era rovesciato nel tunnel, e per rientrare a casa mi ci volle quasi un'ora. Entrata nell'appartamento, posai borsa e portadocumenti, presi una leccornia congelata dal freezer e la infilai nel microonde.
Mentre aspettavo, accesi il portatile e aprii il programma di lettura dei file PDF. Il microonde trillò mentre io facevo clic sul file fullrptstem.
Quando tornai al computer, lo schermo era occupato da un quadro surrealista. Fissai i globuli e i ghirigori esplodere da una massa centrale, poi mi spostai all'inizio del file e lessi il titolo.
Non aveva alcun senso.
24
«Vuoi dire quelle cellule staminali?»
Quando era arrivato a prendermi, alle undici, Ryan era già di pessimo umore. E un ritardo del volo di quaranta minuti non aveva contribuito a migliorare la situazione.
«Sì.»
«Le stronzette che quei tuoi fondamentalisti idioti stanno facendo carte false per proteggere?»
«Non sono i miei fondamentalisti idioti.»
«Tutto qui?»
«Duecentoventidue pagine di materiale.»
«Che cos'è? Una specie di relazione sui progressi della ricerca?»
«Sì, e una valutazione delle direzioni da prendere in futuro.»
Ryan era irritato perché non poteva fumare.
«E chi è il genio che l'ha scritta?»
«Il National Institute of Health.»
«E come mai Nordstern aveva la relazione su CD?»
«Probabilmente l'ha scaricata dalla rete.»
«Perché?»
«Ottima domanda, tenente.»
Ryan controllò l'orologio per la milionesima volta. In quel preciso momento le cifre dello schermo alle spalle dell'impiegata della Delta Airlines cambiarono di nuovo. Adesso saremmo partiti con un'ora di ritardo.
«Stronzi.»
«Rilassati. Ce la faremo a prendere la coincidenza.»
«Grazie, Pollyanna.»
Presi un giornale dalla portadocumenti e cominciai a sfogliarlo. Ryan si alzò, attraversò la sala d'attesa, tornò indietro e si risedette.
«Allora, che cosa hai scoperto?»
«Su cosa?»
«Sulle cellule staminali.»
«Più di quanto avrei mai voluto sapere. Sono rimasta alzata fino alle due.»
Un uomo grosso quanto tutto il South Dakota posò una borsa per terra e occupò il posto accanto al mio. Uno tsunami di sudore e di olio per capelli partì nella mia direzione. Lo sguardo di Ryan incrociò il mio, poi si spostò verso le finestre. Senza una parola, il tenente si alzò e cambiò posto. Lo seguii dopo trenta secondi di cortesia.
«Le cellule staminali vengono prelevate dagli embrioni?» domandò Ryan.
«Le cellule staminali si trovano nei tessuti degli embrioni, del feto o degli adulti.»
«Ma sono le forme non-adulte che fanno uscire di testa i bacchettoni cristiani, no?»
«Le autorità religiose si oppongono strenuamente a qualsiasi utilizzo delle cellule staminali derivate dagli embrioni.»
«Le solite stronzate sulla santità della vita?»
Ryan aveva il dono di arrivare dritto al punto dei problemi.
«Sì, questo è l'oggetto del contendere.»
«E George Bush ha voluto dire la sua.»
«Solo in parte. Sta cercando di avere una posizione intermedia. Ha limitato lo stanziamento dei fondi alla ricerca che utilizza solo le cellule staminali esistenti.»
«Quindi gli scienziati che hanno bisogno dei fondi del governo sono autorizzati a eseguire solo gli esperimenti con le cellule che già crescono nei laboratori?»
«Oppure con le cellule che derivano da tessuti adulti.»
«Vanno bene lo stesso?»
«Vuoi sapere la mia opinione?»
«No. Vorrei che mi mettessi in linea con il Politburo.»
Così non ci siamo. Basta. Torno al mio giornale.
Dopo qualche secondo: «Va bene. Sono pronto per il corso base sulle cellule staminali, versione stringata».
«Sei d'accordo nel rispettare un protocollo di ascolto educato?»
«Sì, sì.»
«Ciascuno dei duecento differenti tipi di cellule del corpo umano deriva da uno dei tre cosiddetti foglietti embrionali: endoderma, mesoderma ed ectoderma.»
«Cioè: strato esterno, strato mediano e strato interno.»
«Ottimo, Ryan.»
«Grazie, signora Brennan.»
«La cellula staminale embrionale, o cellula ES, è detta pluripotente, parola che indica la capacità della cellula di produrre altre cellule derivanti da uno qualsiasi dei tre foglietti embrionali. Le cellule staminali si riproducono durante l'intera vita di un organismo, ma rimangono inattive fino a che non ricevono il segnale di svilupparsi in qualcosa di specifico: pancreas, cuore, ossa, pelle...»
«Insomma, sono dei tipetti molto flessibili.»
«Il termine "cellula staminale embrionale" in realtà comprende due tipi di cellule: quelle derivate dagli embrioni, e quelle derivate dal tessuto fetale.»
«Sono le uniche due fonti?»
«Stando alle conoscenze attuali, sì. Per essere precisi, le cellule embrionali staminali derivano dall'ovulo pochi giorni dopo la fecondazione.»
«E prima che si impianti nell'utero della madre.»
«Giusto. A quel punto l'embrione è una sfera cava chiamata blastocito. Le cellule staminali embrionali provengono dallo strato interno, o endoderma, di quella sfera. Le cellule embrionali germinali, invece, derivano dai feti che hanno da cinque a dieci settimane di vita.»
«E gli adulti?»
«Le cellule staminali degli adulti sono cellule non specializzate che si trovano all'interno di tessuti specializzati. Hanno la capacità di rinnovarsi, e di evolvere nelle cellule specializzate dei tessuti da cui hanno origine.»
«Che sono?»
«Il midollo osseo, il sangue, la cornea e la retina, il cervello, i muscoli, la polpa dentale, il fegato, la pelle...»
«Ma quelle non vengono già utilizzate?»
«Sì. Le cellule staminali adulte isolate dal midollo e dal sangue sono state oggetto di studi approfonditi e vengono utilizzate a scopo terapeutico.»
«Allora perché non si usano semplicemente quelle degli adulti, e così si lasciano in pace feti ed embrioni?»
Elencai le varie ragioni sulla punta delle dita.
«Le cellule staminali adulte sono rare. Sono difficili da identificare, isolare e purificare. Sono troppo poche. Non si replicano indefinitamente in coltura, come invece succede per le cellule staminali embrionali e germinali. E, attualmente, non esiste popolazione di cellule staminali adulte che sia pluripotente.»
«Quindi le cellule embrionali staminali e germinali sono il cuore del problema.»
«Decisamente.»
Per qualche secondo Ryan non parlò, poi: «Qual è il potenziale vantaggio di avere una grande disponibilità di cellule staminali?».
«Morbo di Parkinson, diabete, disfunzioni croniche del cuore, malattie terminali al fegato, insufficienza renale, cancro, lesioni al midollo spinale, sclerosi multipla, morbo di Alzheimer...»
«L'unico limite è il cielo.»
«Esattamente. Non riesco proprio a capire il motivo per cui qualcuno voglia impedire questo genere di ricerca.»
Mi sembrò di vedere un dito puntato verso di me e di udire una voce che in tono accusatorio diceva: «È il primo passo, sorella Temperance, sulla scivolosissima china delle gravidanze finalizzate al solo utilizzo degli embrioni, che ci porterà verso la nascita di una nazione di ariani dedita alla diffusione di muscolosi uomini biondi e con gli occhi azzurri, di seducenti donne dalle gambe lunghe e dai seni prosperosi».
Dopodiché, chiamarono il nostro volo.
Durante il viaggio verso il Guatemala, parlammo di amici comuni, e ricordammo i momenti e le esperienze vissuti insieme. Raccontai a Ryan di Katy, e del suo studio sui topi e la crema di formaggio per il corso di psicologia, e della sua ricerca di un lavoro estivo.
Ryan mi ascoltò mentre gli parlavo di mia sorella Harry e rise con me mentre gli descrivevo la sua ultima storia d'amore con un clown di rodeo di Wichita Falls. Lui mi aggiornò sulla nipote, Danielle, che era scappata di casa per vendere gioielli per le strade di Vancouver. E fummo d'accordo sul fatto che le due avessero molto in comune.
Alla fine, la stanchezza mi vinse, e mi addormentai con la testa sulla spalla di Ryan. Anche se un po' scomodo per il collo, era comunque un posto molto rassicurante dove stare.
Il tempo di ritirare i bagagli all'aeroporto di Ciudad de Guatemala, sfuggire ai facchini che volevano assolutamente portarli al posto nostro, e trovare un taxi, ed erano già le nove e mezza di sera. Comunicai al tassista il mio indirizzo. Lui si voltò per chiedere a Ryan indicazioni. E io gli diedi le indicazioni che cercava.
Alle dieci e un quarto eravamo davanti al mio albergo. Quando chiesi la ricevuta, il tassista mi guardò come se avessi preteso un campione di urina. Borbottando, recuperò un foglietto dallo spazio tra i sedili, scarabocchiò qualcosa e me lo porse.
Il portiere mi salutò per nome, e mi diede il bentornato. Poi spostò lo sguardo su Ryan.
«Volete una camera o due?»
«Una per me. La 314 è libera?»
«Si, señora.»
«Prendo quella.»
«E il señor?»
«Deve chiedere al señor.»
Porsi la carta di credito, firmai il registro, presi le valigie e salii in camera. Giusto il tempo di appendere gli abiti, sistemare gli oggetti da toilette e riempire la vasca da bagno, che il telefono squillò.
«Ryan, ti prego, non cominciare.»
«Perché dovrei voler cominciare con Ryan?» domandò Galiano.
«Sei tu che l'hai invitato qui.»
«Ho invitato anche te. E preferirei cominciare con te.»
«Ho viaggiato per dodici ore con il tenente Forte Personalità. E ho bisogno di dormire.»
«Ryan sembrava un po' nervoso.»
I due ex studentelli si erano già parlati. Provai una punta di irritazione.
«Ha ammazzato un uomo.»
«Già.»
«Ryan e io domani passiamo da Aida Pera, l'amichetta dell'ambasciatore. Dopodiché pensavo di fare due chiacchiere con la madre di Patricia Eduardo. Dice di avere altre informazioni.»
«Sembri scettico.»
«Quella donna è strana.»
«Il padre dov'è?»
«Morto.»
«Ha accettato di dare il campione di saliva?»
Avevo chiesto a Galiano di procedere con la richiesta prima della mia partenza per Montréal. Ora che avevamo una potenziale identificazione, era possibile eseguire un confronto del DNA. Un profilo ottenuto dalla saliva della señora Eduardo sarebbe stato messo a confronto con quello ottenuto dalle ossa fetali trovate nei vestiti dello scheletro della Pensión Paraíso. Dato che il DNA mitocondriale viene trasmesso solo per linea materna, il bambino, la madre e la nonna dovrebbero avere una sequenza identica.
«Già fatto. E ho anche preso le ossa del feto dal laboratorio di Mateo.»
«La señora Eduardo ha visto l'immagine che ho mandato via fax?»
«Sì.»
«Ha accettato l'idea che lo scheletro appartenga a Patricia?»
«Sì. Come tutti, qui alla centrale.»
«Quella donna dev'essere distrutta.»
Lo sentii sospirare. «Ay, Dios. È la notizia peggiore che un genitore possa ricevere.»
Per qualche istante nessuno dei due parlò. Pensai a Katy. Immaginai Galiano pensare ad Alejandro.
«Allora, vuoi venire anche tu?»
Risposi di sì.
«Che mi dici di Aida Pera?»
«Lavora come segretaria da quando ha concluso le scuole superiori, due anni fa. Chantale qui non ci ha mentito.»
«La ragazza che cosa dice di Specter?»
«Non abbiamo ancora affrontato l'argomento. Abbiamo pensato di farlo a tu per tu.»
«A che ora?»
«Alle otto.»
«Porta il caffè.»
Riagganciai, mi svestii e saltai nella vasca. Ma saltai fuori immediatamente dopo, urtando un fianco contro il lavabo. L'acqua era fredda a sufficienza per formare una crosta di ghiaccio. Imprecai, mi avvolsi in un asciugamano e aprii i rubinetti. Usciva acqua fredda da entrambi.
Tremando e imprecando ancora, mi infilai sotto le coperte.
Alla fine, i brividi passarono.
Ryan non telefonò.
Mi addormentai senza capire se ero infastidita o sollevata.
Il mattino seguente fui svegliata da un martello pneumatico così rumoroso che avrebbe potuto compromettermi l'udito a vita. Mi infilai qualcosa e sporsi la testa dalla finestra. Tre piani sotto, sei uomini stavano rifacendo il marciapiede, e aveva tutta l'aria di essere un lavoro a lungo termine.
Fantastico.
Telefonai a Mateo per avvertirlo che ero tornata in Guatemala, e che sarei passata al laboratorio della FAFG nel pomeriggio. Quando scesi nell'atrio, Ryan era già pronto.
«Come abbiamo dormito, pasticcino?»
«Come un sasso.»
«L'umore è migliorato?»
«Come?»
«Dovevi essere molto stanca ieri sera.»
Galiano suonò il clacson.
Chiusi la bocca, uscii in strada attraversando le porte a vetri, e mi sedetti sul sedile anteriore, così Ryan sarebbe dovuto stare dietro.
Lungo il tragitto verso l'appartamento di Aida Pera, Galiano ci aggiornò sugli ultimi sviluppi del caso di Claudia De la Alda.
«La sera in cui Patricia Eduardo è scomparsa, Gutiérrez era in chiesa a preparare i fiori per il giorno di Ognissanti.»
«Qualcuno ha confermato il suo alibi?» chiese Ryan.
«Cinque o sei parrocchiani, compresa la sua padrona di casa, la señora Ajuchán. La donna dice di essere rientrata dopo di lui, giura che Gutiérrez non può essere uscito di nuovo, almeno non in macchina, perché gli aveva bloccato l'auto con la sua, nel vialetto.»
«Una complice?» domandò Ryan.
«La Ajuchán dice che si sveglia ogni volta che Gutiérrez entra o esce di casa.» Galiano svoltò a sinistra. «Dice anche che è innocuo. Che non farebbe male a una mosca. Che è un solitario. Non ha amici.»
«Che cosa avete trovato quando avete perquisito la sua stanza?» domandai.
«Il bastardo aveva almeno quaranta fotografìe di Claudia attaccate allo specchio sul cassettone. Aveva fatto una specie di altare. Con candele e tutto il resto.»
«Lui cosa dice?» chiese Ryan.
«Dice che ammirava la sua virtù e la sua devozione.»
«Chi ha scattato le foto?»
«Su questo è un po' vago. Ma nel suo armadio abbiamo trovato una macchina fotografica con un rullino parzialmente usato. Non indovinereste mai chi c'è sulla pellicola.»
«La piccola Claudia.»
«Proprio lei. Immortalata da lontano con il teleobiettivo.»
«Avete fatto una perizia psichiatrica?» domandai.
Galiano svoltò ancora a sinistra, poi a destra e imboccò una via fiancheggiata da case a due o tre piani.
«Gli specialisti dicono che soffre di fissazioni maniacali, o qualcosa del genere. Un erotomane, insomma. Non riesce a trattenersi, ma probabilmente non aveva intenzione di farle del male.»
«Infatti, le ha fatto proprio del bene.»
Galiano accostò, fece manovra per parcheggiare e si voltò verso di noi.
«E che dice di Patricia Eduardo?» domandò Ryan.
«Gutiérrez dice che non l'ha mai conosciuta, che non è mai stato nella Zona Viva, né al Café San Felipe, e non ha mai sentito parlare della Pensión Paraíso. Giura che Claudia De la Alda è l'unica persona che lui abbia mai amato.»
«L'unica persona che abbia mai ucciso, casomai.» La voce di Ryan era indurita dal disprezzo.
«Già.»
«Tu gli credi?» domandai.
«Hijo de la gran puta. È stato tre volte sotto la macchina della verità.»
Galiano si voltò e ci indicò con un cenno della testa un edifìcio fatiscente in fondo alla via. Intonaco rosa che cadeva a pezzi. Portone rosso sangue. Un ubriaco appisolato. Graffiti. Non brutti.
«Pera divide un appartamento al secondo piano con una cugina più grande.»
«Non sarà andata a lavorare?»
«Quando le ho detto che sarei passato, ha deciso di prendersi un giorno di libertà. Non voleva preoccupare il suo capo.»
«Ti ha chiesto perché volevi parlarle?» domandai.
Galiano sembrò sorpreso. «No.»
Scendemmo dall'auto. Disturbato dal rumore delle portiere, l'ubriaco si lasciò scivolare lungo il muro a cui era appoggiato e finì lungo disteso davanti all'entrata dell'edificio. Lo scavalcammo e io notai che aveva la cerniera dei pantaloni mezza aperta.
O mezza chiusa. Immagino dipenda dal punto di vista personale.
L'atrio era angusto e puzzava di disinfettante. Il pavimento era piastrellato in bianco e nero.
I nomi Pera e Irías erano scritti su un cartoncino e inseriti nell'apposita finestrina di una delle sei cassette per le lettere in ottone. Galiano premette il pulsante del citofono. Una voce rispose immediatamente. Il nostro arrivo era stato già notato.
«Sì?»
«Tenente Gallano.»
La serratura del portone scattò. Entrammo, e imboccammo in fila indiana la scala molto stretta.
L'appartamento Pera-Irías era uno dei due affacciati sul minuscolo pianerottolo del secondo piano. Mentre salivo l'ultimo gradino, la serratura girò rumorosamente, la porta si aprì verso l'interno e una ragazza splendida comparve sulla soglia. Galiano e Ryan subito si impettirono. Fossi stata un uomo, avrei fatto altrettanto.
«Agente Galiano?» domandò una voce infantile.
«Buenos días, señorita Pera.»
Aida Pera rispose al saluto con un cenno della testa, tutta compresa. Aveva i capelli biondo chiaro, la carnagione pallida, gli occhi castani ed enormi, fiduciosi e spaventati al tempo stesso. Occhi che dicevano: occupati di me. Occhi che fanno impazzire gli uomini.
«Grazie per aver accettato di vederci così presto» iniziò Galiano.
Un altro cenno della testa, poi Aida Pera guardò me e Ryan.
Galiano ci presentò. La lieve ruga che le si era formata tra gli occhi scomparve.
«Di che cosa si tratta?» Aida giocava con la catena della porta. Aveva le dita lunghe e affusolate, ma le unghie erano rovinate, le cuticole mangiucchiate. Ma per quanto potevo vedere, quello era il suo unico difetto.
«Possiamo entrare?» domandò Galiano con garbo.
Aida Pera arretrò, e noi entrammo nel piccolo ingresso da cui partiva un lungo corridoio. La ragazza ci condusse in soggiorno e ci indicò il divano e le poltrone, ciascuno decorato con i centrini di pizzo su braccioli e schienali. Mi domandai dove fosse la cugina.
Galiano non perdette tempo.
«Señorita Pera, sono a conoscenza del fatto che lei è amica dell'ambasciatore canadese André Specter.»
Questa volta la ruga era profonda e non scomparve.
«Posso chiederle di che natura è la vostra relazione?»
Aida guardò Galiano, poi Ryan, poi me, e intanto si mordicchiò una nocca. Forse le sembrai la più innocua dei tre, perché la sua risposta fu indirizzata a me.
«Non posso parlare della mia relazione con André. Non posso. Ho... ho... André mi ha fatto promettere...»
«Se preferisce, potremmo trasformare questo incontro in un interrogatorio formale alla centrale di polizia.» Il tono di Galiano si era fatto più duro.
Aida Pera guardò di nuovo tutti e tre. Galiano. Ryan. Me. Di nuovo, scelse la donna.
«Mi promettete che non lo direte a nessuno?» Una bambina, con un segreto che le scoppiava nel cuore.
«Faremo del nostro meglio per proteggere la sua riservatezza» disse Galiano.
Gli occhi di Bambi si spostarono su Galiano, poi tornarono su di me.
«André e io dobbiamo sposarci.»
25
Galiano mi lanciò una fugace occhiata.
«Da quanto tempo frequenti l'ambasciatore Specter?» domandai.
«Da sei mesi.»
«Siete amanti?»
La ragazza annuì, gli occhi a terra.
«So che pensate che sono troppo giovane per André. Ma non è così. Io lo amo e lui mi ama. E tutto il resto non conta.»
«La moglie e la figlia non contano?» domandai.
«André è molto infelice. Appena gli sarà possibile, lascerà la moglie.»
Come no.
«Quanti anni hai, Aida?»
«Diciotto.»
La mia rabbia stava aumentando.
«Quando?»
Aida mi guardò. «Quando cosa?»
«Quando sarà il matrimonio?»
«Be', non abbiamo fissato una data precisa. Presto, comunque.» Cercò il sostegno dello sguardo di Ryan e Galiano. «Appena André potrà, insomma... appena potrà sistemare le cose in modo da non mettere a repentaglio la sua posizione.»
«E poi?»
«Poi andremo via. Verrà assegnato a un bel posto. Magari a Parigi. O a Roma o a Madrid. Io sarò sua moglie e viaggerò con lui, e andremo alle feste insieme.»
E Saddam Hussein si convertirà alla religione cristiana e si farà battezzare.
«L'ambasciatore ti ha mai parlato di altre amanti?»
«Non capite. André non è così.»
Aida guardò Galiano. Poi guardò Ryan. Poi guardò me. In quello aveva ragione. Non capivamo.
«Ti ha mai fatto del male?»
Aida corrugò la fronte. «In che senso?»
«Ti ha mai strattonata, picchiata, costretta a fare qualcosa che non volevi fare?»
«Mai.» Sospiro. «André è un uomo buono, gentile e meraviglioso.»
«Che tradisce la moglie.»
«Non è come pensate voi.»
Invece era esattamente come pensavo io: un bastardo a caccia di ragazzine.
«Conosci una ragazza di nome Patricia Eduardo?»
Aida scosse leggermente la testa.
«Claudia De la Aida?»
«No.» Il contorno degli occhi cominciava ad arrossarsi.
«Vedrai il signor Specter nel prossimo futuro?»
«È difficile fare programmi. André mi chiama quando riesce a trovare un momento libero.»
E tu aspetti attaccata al telefono. Bastardo.
«In genere è lui che viene qui?» domandò Galiano.
«Se mia cugina non è in casa.» Dopo gli occhi, anche il naso si era arrossato, e Aida era sul punto di scoppiare in lacrime. «A volte usciamo.»
Frugai nella borsa e le porsi un fazzolettino di carta.
Galiano invece le passò un biglietto da visita.
«Mi chiami quando l'ambasciatore le telefonerà.»
«André ha fatto qualcosa di illegale?»
Galiano ignorò la domanda.
«Quando chiama, lei accetti di vederlo. Mi telefoni. E non dica niente a Specter.»
Aida Pera aprì la bocca per obiettare qualcosa.
«Lo faccia, señorita Pera. Mi dia retta, e si risparmierà molta, molta sofferenza.»
Galiano si alzò. Ryan e io facemmo altrettanto. Aida ci accompagnò alla porta.
Mentre uscivamo aggiunse un'ultima considerazione.
«È dura, sapete. Non è come al cinema.»
«No» concordai. «Non lo è.»
Il cielo era nuvoloso, quando lasciammo l'appartamento di Aida Pera. Impaziente di esaminare il materiale di Nordstern, Ryan ci lasciò e prese un taxi per raggiungere la centrale di polizia.
Quando Galiano e io arrivammo dagli Eduardo, stava piovendo. La casa, anche se meno lussuosa di quella degli Specter o dei Gerardi, era confortevole e curata; ciò che un agente immobiliare avrebbe potuto definire accogliente.
Quando la señora Eduardo aprì la porta, mi venne in mente un'immagine: E.T. telefono casa. La nostra ospite aveva un viso largo e rugoso, dominato dagli occhi più grandi che avessi mai visto su un essere umano. Le braccia e le gambe erano scarne, le dita ricurve e nodose. Non era più alta di un metro e venti centimetri.
La señora Eduardo ci condusse in un salotto stipato di mobili rivestiti di tessuto a motivi floreali, e ci invitò ad accomodarci. Lei sedette su una sedia di legno, intrecciò le caviglie e si fece il segno della croce. Gli occhi erano già umidi di lacrime.
Mentre prendevo posto su una poltrona superimbottita, mi chiesi se la donna non avesse per caso un disturbo cromosomico. Mi chiesi anche come avesse potuto mettere al mondo una figlia bella come Patricia.
Galiano mi presentò, e fece le sue condoglianze. La señora Eduardo ripeté il segno della croce, e trasse un lungo sospiro.
«Avete arrestato qualcuno?» chiese con una vocina tremante.
«Stiamo seguendo una buona pista» rispose Galiano.
La señora sbatté la palpebra sinistra, come al rallentatore. La palpebra destra seguì una frazione di secondo dopo.
«Sua figlia ha mai parlato di un uomo chiamato André Specter?»
«No.»
«Di Miguel Gutiérrez?»
«No. Chi sono questi uomini?»
«È sicura?»
La señora Eduardo rifletté ancora sui nomi. O finse di farlo.
«Ne sono assolutamente certa. Che cosa hanno a che fare questi uomini con mia figlia?» Una lacrima le scivolò lungo la guancia. La señora la asciugò con un movimento brusco.
«Semplici controlli.»
«Sono sospettati?»
«Non della morte di sua figlia.»
«E di chi, allora?»
«Miguel Gutiérrez ha confessato l'omicidio di una ragazza chiamata Claudia De la Alda.»
«Lei crede che potrebbe aver ucciso anche Patricia?»
Non si poteva dire che il problema fisico della señora, qualunque esso fosse, ne condizionasse l'intelligenza.
«No.»
«E questo Specter?» Un'altra lacrima. Un altro gesto brusco.
«Lasciamo perdere Specter.»
«Chi è?»
O la tenacia.
«Se sua figlia non ha mai parlato di lui, non è rilevante che lei lo sappia. Quali sono queste nuove informazioni di cui voleva parlarmi?»
Gli enormi occhi si strinsero. Percepii una punta di diffidenza.
«Mi è venuto in mente il nome del dirigente dell'ospedale dove lavorava Patricia.»
«La persona con cui aveva avuto un diverbio?»
La donna annuì e di nuovo le palpebre sbatterono al rallentatore.
Galiano prese un taccuino.
«Zuckerman.»
Un piccolo campanello suonò nella mia testa.
«Nome di battesimo?» domandò Galiano.
«Medico.»
«Genere?»
«Medico.»
«Per caso conosce il motivo della loro discussione?»
«Patricia non me lo aveva detto.»
In quel momento Ranuncolo ci raggiunse, puntò verso Galiano e cominciò a strofinarsi sui suoi pantaloni. La señora Eduardo scese dalla sedia e batté la mani per allontanare il gatto. Ranuncolo inarcò la schiena, si voltò ed eseguì un altro numero otto tra le caviglie di Galiano.
La señora Eduardo batté più forte.
«Via. Su. Torna con gli altri.»
Ranuncolo fissò la sua strana padrona a lungo, sollevò la coda e lentamente uscì dalla stanza.
«Scusate. Ranuncolo era il gatto di mia figlia.» Le tremarono le labbra. Temetti fosse sul punto di scoppiare in lacrime. «Da quando Patricia non c'è più, non dà retta a nessuno.»
Galiano infilò il taccuino in tasca e si alzò.
La señora Eduardo lo guardò. Adesso le lacrime le rigavano entrambe le guance.
«Lei deve trovare il mostro che ha fatto questo alla mia Patricia. Lei era tutto ciò che avevo.»
Galiano serrò la mascella, e i suoi intensi occhi castani si inumidirono.
«Lo troveremo, señora. Glielo prometto. Vedrà che lo prenderemo.»
La señora Eduardo scese dalla sedia con un saltino. Galiano si sporse verso di lei e le strinse le mani fra le sue.
«Parleremo con questo dottor Zuckerman. Di nuovo, señora, le faccio le mie più sentite condoglianze. La prego di chiamarmi, se dovesse venirle in mente qualche altro dettaglio.»
«Che razza di stallone strafottente, quel gatto.» Galiano finì la sua Pepsi e gettò la lattina in un contenitore di plastica sul cruscotto.
«Ognuno reagisce al lutto in modo diverso.»
«Non vorrei mai contrariare il vecchio Ranuncolo.»
«I tuoi pantaloni hanno subito tutto il suo fascino.»
«Ne hanno viste di peggiori.»
«Che problema ha la señora Eduardo?»
«Artrite reumatoide in giovane età. Credo che abbia smesso di crescere.»
Ci stavamo dirigendo verso la centrale di polizia, dopo una breve sosta al Pollo Campero, l'equivalente guatemalteco del Kentucky Fried Chicken.
Quando imboccammo la Avenida 6, il cellulare di Galiano trillò. Il tenente rispose.
«Galiano.»
Mentre ascoltava, mi sussurrò il nome di Aida Pera.
«A che ora?»
Presi un sorso di Diet Coke.
«Non accenni al nostro incontro. Tantomeno a questa telefonata.»
Aida disse qualcosa.
«La convinca a uscire.»
Aida aggiunse qualcos'altro.
«Ah.»
Altra pausa.
«Di questo ci occupiamo noi.»
Galiano chiuse la comunicazione.
«L'ambasciatore è a casa ed è arrapato» tirai a indovinare.
«Va a trovare la sua bella questa sera alle nove.»
«Ha fatto in fretta.»
«Probabilmente vuole dirle che ha prenotato la chiesa.»
«Per caso ti capiterà di essere nei paraggi alle nove?»
«Non si può mai dire.»
«Perché non fermate quel bastardo e lo mettete un po' sotto torchio?»
«Non hai mai sentito parlare della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche e consolari?»
Feci di no con la testa.
«È un capolavoro che limita enormemente le possibilità delle autorità locali di arrestare o fermare i diplomatici.»
«Immunità diplomatica.»
«Proprio quella.»
«Questo è il motivo per cui la città di New York ogni anno se la prende in quel posto con trilioni di multe per sosta vietata.» Finii la Diet Coke. «Ma questa immunità diplomatica non potrebbe essere revocata almeno per i reati penali?»
«L'immunità può essere revocata solo dallo Stato di origine del diplomatico, in questo caso il Canada. Se il Canada rifiuta di sospendere l'immunità, la sola cosa che può fare il Guatemala è dichiarare Specter PNG.»
«PNG?»
«Persona non gradita. E poi espellerlo.»
«Quindi le autorità guatemalteche non possono indagare chiunque all'interno dei loro confini?»
«Possiamo indagare fino all'ultimo dei nostri connazionali, ma dobbiamo avere l'autorizzazione del governo per interrogare un diplomatico canadese.»
«Avete già presentato la richiesta formale?»
«Lo stiamo facendo. Se riusciamo a motivare a sufficienza la richiesta, potrebbero autorizzarci a interrogare Specter in presenza di un funzionario canadese...»
«Ryan.»
«Ryan, ma anche un membro del corpo diplomatico. Ma qui sta l'inghippo. Perché Specter deve accettare l'interrogatorio. Anche se non sarebbe sotto giuramento, e le sue dichiarazioni non potrebbero essere usate per compromettere l'immunità diplomatica in caso di azione penale.»
«Il Paese d'origine del diplomatico decide il destino dei suoi.»
«Esattamente.»
Ryan si trovava nella sala riunioni del terzo piano, quella dove avevo incontrato per la prima volta il procuratore Antonio Díaz, senza purtroppo poterlo più dimenticare. Sulla scrivania di fronte a lui, giornali, documenti, comunicati, taccuini e fascicoli giacevano suddivisi in pile perfettamente distinte.
Ryan sedeva con il mento appoggiato sulla mano, e ascoltava un registratore identico a quello utilizzato da Nordstern per la nostra intervista. A destra dell'apparecchio, almeno una dozzina di nastri. Due sulla sinistra.
Nel vederci, Ryan premette STOP e si appoggiò allo schienale.
«Gesù santo, questa roba è tremenda.»
Galiano e io lo lasciammo proseguire.
«Il nostro Premio Pulitzer mancato aveva parlato con un sacco di gente arrabbiata.»
«A Chupan Ya?» domandai.
«Sì, e anche in altri villaggi fottuti dall'esercito. Quei posti erano controllati da una specie di Gestapo.»
«Hai trovato niente che spieghi perché Nordstern è stato fatto fuori?» Galiano appoggiò un fianco al bordo della scrivania.
«Forse. Ma come caspita faccio a sapere che cos'è?»
Osservai qualche cassetta. Su ciascuna era indicato un nome. Molti erano di origine maya. Il figlio della signora Ch'i'p. Un anziano di un villaggio a ovest di Chupan Ya.
Alcuni nastri contenevano più interviste. Mateo Reyes divideva il suo spazio con Elena Norvillo e Maria Paiz. T. Brennan con E. Sandoval.
«Chi è questo E. Sandoval?» domandai.
Galiano scrollò le spalle.
«Nordstern deve averla o averlo intervistato subito dopo di te.»
Ryan trasse un profondo respiro. Mi voltai verso di lui. Sembrava esausto.
«Se hai bisogno di aiuto, posso dire a Mateo che non sono libera prima di domani mattina» dissi.
Ryan mi guardò come se gli avessi comunicato una vincita alla lotteria.
«Male non farebbe. Su questa roba ne sai più tu di me.» Mi indicò una valigetta sul pavimento, sotto le finestre. «Se vuoi ti lascio frugare nel mare di biancheria intima di Nordstern.»
«No, grazie. Un incontro ravvicinato con i suoi boxer sporchi è stato più che sufficiente.»
Galiano si alzò.
«Devo organizzare un'uscita serale con Hernández.»
Ryan sollevò le sopracciglia.
«Tempe ti spiegherà. Adesso devo andare nella stanza dei bottoni.»
«Che cosa vuoi che faccia?» domandai.
«Puoi dare un'occhiata a tutti quei libri e quei documenti mentre io finisco di ascoltare queste interviste.»
«Che cosa devo cercare?»
«Qualsiasi cosa.»
Telefonai a Mateo. Il mio ritardo non gli creava problemi. Gli domandai di E. Sandoval, e mi spiegò che Eugenia Sandoval lavorava per il CEIHS, il Centro de Investigaciones de Historia Social. Dopodiché riagganciai e riferii a Ryan.
«Mi sembra che la cosa quadri» disse lui.
Presi libri e giornali e mi sedetti di fronte a Ryan. Alcune pubblicazioni erano in spagnolo, la maggior parte erano in inglese. Iniziai a redigere un elenco.
Il massacro di El Mazote: un'allegoria della Guerra Fredda; Massacri nella giungla, Ixcán, Guatemala, 1975-1982; Persecuzioni per delega: le Pattuglie di Autodifesa Civile in Guatemala, Centro Robert F. Kennedy per i diritti umani; Mietere violenza: gli indiani maya e la crisi del Guatemala; un numero dell'«Americas Watch Report» dell'agosto 1986: Pattuglie di Autodifesa Civile in Guatemala.
«Si direbbe che Nordstern avesse preso la cosa con grande impegno.»
«Anche troppo, direi.»
«Qualcuno ha parlato con il "Chicago Tribune?"»
«Pare che Nordstern sia un giornalista freelance, non è un dipendente della testata. Ma il "Tribune" gli aveva affidato un pezzo su Clyde e sulla FAFG.»
«Ma perché allora era interessato alle cellule staminali?»
«Forse per un prossimo articolo?»
«Forse.»
Due ore dopo facemmo una pausa.
Stavo sfogliando il libro fotografico La Lucha Maya, una raccolta di ritratti a colori a pagina intera. Case con il tetto di paglia a Santa Clara. Un ragazzino che pesca nel Lago de Atitlán. Un battesimo a Xeputúl. Uomini che trasportano bare da Chontalá al cimitero di Chichicastenango.
All'inizio degli anni Ottanta, su disposizione del comando locale dell'esercito, la Pattuglia di Autodifesa Civile giustiziò ventisette abitanti del villaggio di Chontalá. Dieci anni dopo, Clyde Snow ne esumò i resti.
Accanto al corteo funebre, la fotografia di un ragazzo con armi automatiche. Membri della Pattuglia di Autodifesa Civile a Huehuetenango.
Il sistema delle Pattuglie di Autodifesa Civile fu imposto in tutto il Guatemala rurale. La partecipazione era obbligatoria. Gli uomini erano costretti a perdere giornate di lavoro e le famiglie denaro. Le Pattuglie imposero un nuovo sistema di regole e valori dominato dalle armi e dalla forza. Il nuovo ordine spazzò via i concetti tradizionali di autorità e distrasse la vita comunitaria dei contadini maya.
Ryan estrasse una cassetta, ne infilò un'altra. Udii la voce di Nordstern, poi la mia.
Continuai a osservare le fotografie. Un vecchio costretto a lasciare la sua casa a Chunimà sotto la minaccia delle armi di una Pattuglia di Autodifesa Civile. Una donna maya con un bambino sulla schiena, le guance rigate dalle lacrime.
Voltai pagina. Membri delle Pattuglie a Chunimá, armi in pugno, montagne immerse nella nebbia alle loro spalle. La didascalia spiegava che l'ex capo del gruppo aveva assassinato due uomini locali che si erano rifiutati di arruolarsi nella pattuglia di «volontari».
Fissai i ragazzi della foto. Potevano essere una squadra di calcio. Un gruppo di scout. I membri di un club di liceali.
Udii una versione meccanica della mia voce spiegare il massacro di Chupan Ya.
«Nell'agosto del 1982, i soldati e le Pattuglie di Autodifesa Civile entrarono nel villaggio...»
A Chupan Ya l'esercito era stato affiancato da una Pattuglia di Autodifesa Civile. Soldati e paramilitari avevano stuprato donne e bambine, poi le avevano uccise a colpi di arma da fuoco e machete, e bruciato le loro case.
Voltai pagina.
Xaxaxak, una comunità di Sololá. I membri delle Pattuglie marciavano in stile militare, con le armi appoggiate in diagonale sul petto. I soldati guardavano, alcuni in mimetica da giungla, altri in uniforme, a indicare i livelli più elevati di retribuzione.
Nordstern aveva cerchiato un nome. Lo sguardo mi cadde su quel nome nello stesso istante in cui la voce di Nordstern lo pronunciava al registratore.
«Al comando di Alejandro Bastos.»
«Questo non lo so.»
«Continui.»
«Sembra che lei ne sappia molto più di me.» Fruscio. «Si sta facendo tardi, signor Nordstern. Ho del lavoro da sbrigare.»
«Chupan Ya o la fossa biologica?»
«Aspetta! Fammelo risentire!»
Ryan premette REWIND e riascoltammo la fine dell'intervista.
«Guarda qui.»
Ruotai il libro verso di lui.
Ryan studiò la foto e lesse la didascalia.
«Alejandro Bastos comandava il presidio locale dell'esercito.»
«Nordstern ha accusato Bastos di essere il responsabile del massacro di Chupan Ya» dissi io.
«Perché, secondo te, Nordstern ha cerchiato il tipo losco accanto a lui?»
Ryan mi passò il libro e osservai meglio la persona all'interno del cerchio.
«Gesù.»
26
«È Antonio Díaz.» Le lenti non erano rosa, ma la mia memoria non aveva dubbi.
«E chi sarebbe?»
«Il diabolico procuratore distrettuale.»
«Quello che ha confiscato lo scheletro di Patricia Eduardo?»
«Sì.»
Ryan tese il braccio per avere il libro. Glielo porsi.
«Díaz era nell'esercito.»
«Così pare.»
«Con Bastos.»
«Una fotografìa vale migliaia di chalupas.»
«Il tizio che Nordstern accusava di aver guidato le danze a Chupan Ya?»
«Il nastro l'hai sentito anche tu.»
«Chi è Alejandro Bastos?»
«E chi lo sa.»
«Díaz prestava servizio nell'esercito insieme a Bastos. Che diavolo vorrà dire?»
Me lo stavo chiedendo anch'io. Stavamo tornando a Chupan Ya? Il problema era solo che Díaz prima era nell'esercito e poi era diventato giudice? Era su questo che stava indagando Nordstern? Ma non era per niente strano in Guatemala. Galiano me l'aveva spiegato quella sera al Gucumatz. Il sistema giudiziario guatemalteco è pieno di torturatori e assassini. Lo sanno tutti. Non sarebbe stata una gran notizia. C'era un collegamento con la Pensión Paraíso? Non mi venne in mente nessuna risposta.
«Forse non significa niente» dissi, non del tutto convinta.
«Forse significa qualcosa» disse Ryan.
«Forse Díaz aveva dei motivi per non volere che mi occupassi del caso Eduardo.»
«Per esempio?»
«Forse pensava che nella cisterna della Pensión Paraíso ci fosse qualcun altro.»
«E chi?»
«Qualcuno collegato ai fatti di Chupan Ya.»
«Una ragazzina incinta?»
Ryan aveva ragione. Non aveva senso.
«Forse Díaz voleva distogliermi dalle indagini su Chupan Ya.»
«Perché?»
«Temeva emergesse qualche rivelazione sul suo passato.» Stavo pensando a voce alta. «Forse temeva di perdere il posto.»
«E non è successo esattamente questo con il caso della Pensión Paraíso?»
«Che cosa?»
«Non ti ha distolta dal lavoro con Mateo e la sua squadra? E più ti occupavi della Pensión Paraíso, più ti saresti allontanata dagli scheletri di Chupan Ya. Se ti volesse distogliere da Chupan Ya, non ostacolerebbe in nessun modo il tuo lavoro su un altro caso.»
D'un tratto mi venne un pensiero terribile.
«Gesù!»
«Che cosa?»
«Forse dietro l'aggressione a Molly e Carlos c'è Díaz.»
«Adesso non lasciamoci prendere la mano e limitiamoci ai fatti. Sai niente di questo Bastos?»
Scossi la testa.
«Per quale motivo Nordstern avrebbe cerchiato l'immagine di Díaz?»
«Fai delle ottime domande, Ryan.»
«Su che cosa?»
Ci voltammo entrambi. Galiano era sulla porta.
«Chi è Alejandro Bastos?»
«Un colonnello dell'esercito. È arrivato a essere ministro di qualcosa nel governo di Ríos Montt. È morto un paio di anni fa.»
«Bastos è stato coinvolto in qualche massacro?»
«Fino alle palle degli occhi. Il coglione era un perfetto esempio del perché l'amnistia è stata una pessima idea.»
Ryan porse il libro fotografico a Galiano.
«Hijo de puta.»
Galiano ci guardò.
«Con Díaz.» Questa volta non più in spagnolo. «Figlio di puttana.»
Una mosca ronzò contro la finestra. La guardai e sentii di poter condividere la sua frustrazione. Nemmeno io riuscivo ad andare da nessuna parte.
«Novità su Specter?» domandai a Galiano.
«Abbiamo scoperto che l'ambasciatore ha un alibi per la settimana intorno alla scomparsa di Patricia.»
«Lui e Dominique erano in un monastero a rinnovare le promesse di matrimonio» sogghignò Ryan.
«Era a una conferenza sul commercio internazionale a Bruxelles. Specter ha esposto i suoi interventi quotidianamente e ha presenziato ai cocktail serali.»
«Aida Pera direbbe che era una cosa "carina"» ironizzò Ryan.
«Non è colpa sua.»
I due uomini mi guardarono come se avessi appena detto che Eva Braun non era poi così cattiva.
«È ovvio che Specter è un mascalzone di prima categoria. Aida è una ragazzina.»
«Ha diciotto anni.»
«Appunto.»
Per qualche secondo, l'unico suono della stanza fu il ronzio della mosca.
«Tra Patricia Eduardo e la casa degli Specter deve esserci qualche legame, altrimenti il pelo di Guimauve non sarebbe potuto finire sui suoi jeans» osservai senza motivi particolari.
«Forse il pelo è stato trasferito da Specter, mentre si infilava nei pantaloni della ragazza» commentò Ryan.
«Patricia Eduardo è scomparsa il 29 ottobre» osservò Galiano «ma non deve necessariamente essere morta quel giorno.»
«Avete rintracciato il dottore Zuckerman?»
Galiano prese il suo onnipresente taccuino.
«Maria Zuckerman ha preso il dottorato alla University of New York, dopodiché ha trascorso un periodo di internato alla John Hopkins per la specializzazione in ostetricia e ginecologia, e si è trasferita per un paio di anni a Melbourne, in Australia, per lavorare in un certo istituto di biologia riproduttiva.»
«La signora non è una stupida.»
«La brava dottoressa lavora per l'Hospital Centro Médico, e negli ultimi due anni è stata il diretto superiore di Patricia Eduardo. Ho parlato con qualche collega di Patricia. Una era a conoscenza del contrasto fra la Zuckerman e Patricia, ma non ne conosceva la causa. Ma c'è un altro particolare interessante. Pare che io avessi già parlato con la dottoressa Zuckerman.»
Una lampadina s'accese nella mia testa.
«La dottoressa dirige la clinica Mujeres por Mujeres nella Zona Uno!» dissi.
«Proprio quella. E la mia seconda visita le piacerà anche meno della prima.»
«Vorrei venire anch'io.»
«Il pullman parte alle otto in punto.»
Povero Mateo. Avrei dovuto richiamarlo.
«Ma c'è un altro particolare interessante. La collega pensa che Patricia vedesse qualcun altro, di nascosto dal suo ragazzo. Un uomo più anziano.»
Quando ripenso all'intera vicenda, mi rendo conto che quella riunione innescò una spirale di avvenimenti, e da quel momento in poi i particolari si moltiplicarono, le informazioni proliferarono e le nostre convinzioni si formarono e riformarono come i disegni di un caleidoscopio.
Ryan e io trascorremmo ancora un paio d'ore sul materiale di Nordstern e sui nastri. Quindi ci trascinammo in albergo, consumammo una cena veloce e tornammo in stanza. Ryan non ci provò. Io non ci badai.
Le informazioni di Galiano avevano assorbito tutta la mia attenzione. Capii che il racconto di Galiano sulla dottoressa Zuckerman e la sua clinica era stato all'origine del campanello d'allarme che avevo sentito nel mio cervello a casa della signora Eduardo; ma c'era ancora qualcosa che continuava a ronzarmi in testa.
Ma cosa? Qualcosa che avevo visto? Qualcosa che avevo sentito? La sensazione era come un vago prurito che non riuscivo a grattare via.
Ryan telefonò alle nove e un quarto.
«Che cosa stai facendo?»
«Leggendo l'etichetta del mio antiacido.»
«Quel che si dice una vita sul filo del rasoio.»
«Che cosa pensavi che stessi facendo?»
«Grazie per l'aiuto di oggi pomeriggio.»
«È stato un piacere.»
«A proposito di piacere...»
«Ryan.»
«Va bene. Va bene. Ma ho intenzione di restituirti il favore, quando torniamo nel grande e bianco Nord.»
«Come?»
«Ti porto a vedere Cats.»
Il mio prurito di colpo aumentò.
«Adesso devo andare.»
«Come? Che cosa ho detto?»
«Ti chiamo domani.»
Interruppi la comunicazione e composi il numero di Galiano. Non c'era.
Accidenti.
Presi l'elenco del telefono.
Sì.
Digitai il numero.
La señora Eduardo rispose al primo squillo.
Mi scusai per averla disturbata a quell'ora. Mi scusò.
«Señora Eduardo, l'altro giorno, quando ha mandato via Ranuncolo, gli ha detto di andare con gli altri. Voleva dire che da lei ci sono altri gatti?»
«Purtroppo, sì. Due anni fa, una cucciolata di gattini è comparsa nel capannone dove mia figlia teneva il cavallo. Patricia ne adottò due e trovò una sistemazione per gli altri. Voleva portare i due gattini qui in casa, ma io dissi che Ranuncolo era più che sufficiente. Quelli erano nati nel capannone, e lì potevano stare. La cosa funzionò finché c'era Patricia.»
La señora si interruppe. La immaginai chiudere al rallentatore le due palpebre.
«Circa tre settimane fa, il proprietario del capannone mi ha telefonato insistendo che andassi a prendere i gatti. Altrimenti li avrebbe annegati. A Ranuncolo la cosa non è piaciuta, ma quei gatti adesso stanno qui.»
«Per caso sa chi ha adottato gli altri cuccioli?»
«Qualche famiglia della zona, immagino. Patricia aveva tappezzato il quartiere con dei volantini. Aveva ricevuto una decina di chiamate.»
Mi schiarii la voce.
«I gatti sono a pelo corto?»
«Sì, sono gatti normalissimi.»
Il telefono di Dominique Specter suonò quattro volte, poi una voce maschile mi invitò in inglese e francese a lasciare un messaggio. Aspettai il segnale acustico e obbedii.
Mentre ero in bagno impegnata con il filo interdentale, il mio telefono squillò. Era la signora Specter.
Le chiesi di Chantale.
Bene.
Le chiesi del tempo a Montréal.
Tiepido.
Era più che evidente che la signora non era in vena di chiacchiere.
«Vorrei solo farle una domanda, signora Specter.»
«Oui?»
«Dove avete preso Guimauve?»
«Mon Dieu. Mi lasci pensare.»
Aspettai qualche secondo.
«Chantale trovò un avviso in farmacia. Telefonammo. I gattini c'erano ancora. Prendemmo la macchina e andammo a sceglierne uno.»
«Andaste dove?»
«Fino a un capannone. Un posto con dei cavalli.»
«Vicino a Ciudad de Guatemala?»
«Sì. Non ricordo il posto esatto.»
La ringraziai e riagganciai.
Ci sarebbe mai stata fine agli errori che stavo commettendo su quel caso? Che razza di stupida ero stata. Avevo spiegato tutta la storia a Ryan, e non l'avevo capita nemmeno io.
Il pelo sui jeans nel pozzo nero della Pensión Paraíso non era di Guimauve. Apparteneva al suo compagno di cucciolata. A uno dei suoi fratellini. Un animale con lo stesso DNA mitocondriale. I gatti del capannone di Patricia Eduardo avevano perso il pelo che avevo trovato sui suoi jeans.
André Specter non era un assassino ma solo uno schifoso sempre arrapato che ingannava la sua famiglia e le ragazzine credulone con cui si accompagnava.
Mi addormentai con un milione di domande che mi turbinavano nel cervello.
Chi aveva assassinato Patricia Eduardo?
Perché Díaz non mi aveva permesso di identificare il suo cadavere?
Perché Patricia Eduardo e la dottoressa Zuckerman avevano litigato?
Quanti erano i probabili responsabili del massacro di Chupan Ya?
Chi aveva sparato a Molly e Carlos?
Che cosa aveva scoperto Ollie Nordstern per finire morto ammazzato? Perché non riuscivamo a scoprirlo? Perché era interessato alla ricerca sulle cellule staminali?
Sempre domande, e mai una risposta.
Dormii un sonno agitato.
Galiano non arrivò prima delle otto e mezza. Per quell'ora avevo già ingurgitato tre tazze di caffè ed ero così tesa che avrei potuto dare due mani di vernice a tutto lo Shea Stadium. Lui portò la tazza numero quattro.
Gli riferii immediatamente le mie conversazioni con la señora Eduardo e la signora Specter. Lui non si mostrò per niente sorpreso. Anche se non mi fu facile vederlo, dietro le lenti alla Dart Fener.
«Uno dei membri del suo staff non ha avuto difficoltà a collaborare» disse Galiano. «Pare che Specter sia un vecchio mandrillo, ma a parte questo, è assolutamente innocuo.»
«Che cosa è successo ieri notte?»
«Aida deve averlo avvertito. Specter non si è fatto vivo.»
La clinica brulicava di persone quel venerdì mattina. Più di una decina di donne aspettavano sull'anello di sedie che circondava la sala d'aspetto. Alcune avevano con sé i bambini. La maggior parte era incinta. Altre erano lì per evitare di esserlo.
Quattro piccolini giocavano con giocattoli di plastica sul pavimento. Altri due bambini più grandi coloravano seduti a un tavolo delle loro dimensioni, dividendosi un mazzo di matite. La parete alle loro spalle testimoniava l'esuberanza di tutti i loro predecessori. Segni di pedate. Chiazze di cibo. Graffiti colorati. Strisciate di camion giocattolo.
Galiano si avvicinò alla receptionist e chiese di parlare con la dottoressa Zuckerman. La ragazza alzò lo sguardo e la luce le brillò sulle lenti degli occhiali. Quando vide il tesserino spalancò gli occhi.
«Un momento, por favor.»
Infilò un corridoio alla destra del suo tavolo. Passò un po' di tempo. Le donne in attesa ci fissavano con solennità. I bambini continuavano a colorare, le facce tese nello sforzo di non uscire dai contorni del disegno.
Più di cinque minuti dopo la ragazza tornò.
«Mi spiace, ma la dottoressa Zuckerman non può ricevervi.» Indicò con un gesto nervoso la brigata dell'utero alle nostre spalle. «Come potete vedere, oggi abbiamo molte pazienti.»
Galiano la fissò dritta nelle lenti.
«O la dottoressa Zuckerman viene qui da noi, o noi andiamo da lei.»
«Non potete entrare negli ambulatori.» Era quasi un gemito.
Galiano scartò una barretta di gomma da masticare e se la mise in bocca, senza mai abbandonare il contatto visivo.
La ragazza sospirò, gettò le mani in aria e tornò sui suoi passi.
Un bambino cominciò a piangere. La mamma sollevò la camicetta e lo avvicinò al seno. Galiano annuì e sorrise. La mamma si voltò leggermente.
In fondo al corridoio udimmo una porta spalancarsi. La dottoressa Zuckerman irruppe furiosa in sala d'aspetto. Era una donna robusta e con i capelli biondi e sporchi tagliati molto corti. In casa. Con poca luce. Con forbici poco affilate.
«Ma chi diavolo credete di essere, eh?» Inglese con forte accento probabilmente australiano.
La receptionist sgusciò dietro la sua scrivania e si concentrò su qualche invisibile lavoro da fare.
«Non potete intrufolarvi qui dentro, traumatizzare le mie pazienti e...»
«Vuole che le traumatizziamo ancora di più, oppure preferisce portarci in un luogo un po' più appartato?» disse Galiano, rivolgendo un sorriso gelido alla dottoressa.
«Lei non ha capito, signore. Io oggi non ho tempo per voi.»
Galiano si frugò dentro la giacca, ne estrasse un paio di manette e le fece dondolare di fronte alla dottoressa.
Maria Zuckerman lo guardò con livore.
Galiano continuò a far oscillare le manette.
«Questo è un abuso di potere.»
La dottoressa si voltò e tornò in corridoio. La seguimmo, superando una serie di ambulatori. In più di uno intravidi la paziente coperta da un lenzuolo, già in posizione ginecologica. Non le invidiai.
Maria Zuckerman ci fece passare oltre un ufficio con il suo nome sulla porta. La stanza conteneva un certo numero di sedie, un televisore e un videoregistratore. Immaginai i video didattici. Istruzioni sull'autopalpazione del seno. Il parto e la giusta respirazione. Il bagnetto del neonato.
Galiano non perse tempo.
«Lei era il dirigente di Patricia Eduardo all'Hospital Centro Médico.»
«Sì.»
«Per quale ragione non me ne ha parlato l'altra volta, quando sono venuto da lei?»
«Mi aveva chiesto di altre pazienti.»
«Mi faccia capire bene, dottoressa. Sono venuto qui a interrogarla su tre donne. Una di queste tre donne era sotto la sua responsabilità in un'altra struttura, e lei non me lo ha detto?»
«Il suo è un nome molto comune. Avevo da fare. Non vedo il nesso.»
«Capisco.» Il suo tono indicava il contrario. «D'accordo. Parliamone adesso.»
«Patricia Eduardo era una delle tante ragazze sotto la mia supervisione. Ma non so niente delle sue attività al di fuori dell'ospedale.»
«Non chiedeva mai niente della loro vita privata?»
«Non sarebbe stato corretto.»
«Ah. Lei e Patricia siete state viste discutere, prima della scomparsa della ragazza.»
«Le ragazze non sempre si comportano secondo le mie aspettative.»
«Era questo il caso di Patricia?»
La donna ebbe un attimo di esitazione. «No.»
«Per quale motivo avete litigato?»
«Litigato. Mi sembra una parola grossa. La signorina Eduardo semplicemente non era d'accordo con un consiglio che io le avevo dato.»
«Consiglio?»
«Un consiglio professionale.»
«Di un dirigente disinteressato?»
«Di un medico.»
«Quindi Patricia era una sua paziente?»
Maria Zuckerman si rese immediatamente conto dell'errore commesso.
«Forse è venuta qui in clinica una volta.»
«Perché?»
«Non ricordo i problemi di tutte le donne che vengono qui a farsi visitare.»
«Patricia non era una donna qualsiasi. Era una persona con cui lei lavorava tutti i giorni.»
La dottoressa non replicò.
«La ragazza non risulta tra la documentazione che lei ha qui.»
«Capita.»
«Ci parli di lei.»
«Sapete bene che non posso.»
«Per tutelare la riservatezza dei pazienti.»
«Appunto.»
«Peccato che questa sia un'indagine per un omicidio. E io della sua riservatezza me ne fotto.»
Maria Zuckerman si irrigidì, e il neo che aveva sulla guancia sembrò espandersi.
«Scelga: o mi risponde qui o andiamo direttamente alla centrale.»
La dottoressa indicò nella mia direzione. «Questa donna non è un funzionario di polizia.»
«Lei ha assolutamente ragione» dissi. «Non la costringerò a tradire il suo giuramento. Aspetterò fuori.»
E prima che ci fossero obiezioni, lasciai la stanza. Il corridoio era deserto. Puntai verso l'ufficio della dottoressa, sgusciai dentro e richiusi la porta alle mie spalle.
Il sole del mattino filtrava attraverso le persiane semichiuse, proiettando lame di luce sulla scrivania e su un piccolo orologio di cristallo. Il suo ticchettio, leggero e rapido come il cuore di un colibrì, era l'unico suono della stanza.
Due pareti erano tappezzate di scaffali stipati di libri, una terza di schedari. Tutti i mobili erano grigi.
Scorsi rapidamente i titoli dei libri. Normali riviste mediche. Normali testi medici. Diversi volumi sulla biologia cellulare. Molti altri su fisiologia della riproduzione ed embriologia.
In un angolo della stanza notai una porta. Il bagno?
Trattenni il fiato e origliai.
Tic. Tic. Tic. Tic. Tic.
Mi avvicinai e girai la maniglia.
Quello che vidi non era niente di ciò che potevo aspettarmi. La stanza era occupata da due lunghi banconi zeppi di microscopi, provette e piastre dei Petri. Una serie di armadi con le ante di vetro erano stipati di flaconi e vaschette. Su alcune mensole erano allineati dei vasi di vetro contenenti feti ed embrioni, ciascuno etichettato con l'età gestazionale.
Un ragazzo stava infilando un contenitore in uno dei tre refrigeratori che occupavano la parete in fondo. Lessi l'etichetta. SIERO FETALE DI BOVINO.
Udendo il rumore della porta che si apriva, il ragazzo si voltò. Indossava una maglietta verde militare e pantaloni mimetici infilati negli anfibi. I capelli erano lisciati con il gel e legati dietro in una coda. Al collo, un ciondolo con le iniziali JS appeso a una catenina d'oro. Look militar-chic.
Il suo sguardo passò rapido da me all'ufficio di Maria Zuckerman.
«La dottoressa le ha permesso di venire qui?»
Prima che potessi rispondere, Maria Zuckerman irruppe nel suo ufficio. Mi voltai, e per un istante i nostri sguardi si incrociarono.
«Lei qui non c'entra niente.» Il suo viso era paonazzo fino alla radice degli orrendi capelli.
«Mi spiace. Mi sono persa.»
La dottoressa si avvicinò e andò a chiudere la porta del laboratorio.
«Vada via.» Aveva le labbra serrate, respirava affannosamente dalle narici.
Mentre lasciavo rapidamente l'ufficio, udii tuonare la voce rabbiosa della dottoressa. Udii anche un nome. Non mi fermai a origliare. Dovevo trovare Galiano.
Non ci avevano presentati, ma adesso conoscevo il nome del ragazzo in mimetica.
27
«Sei sicura?»
«Il muso di topo del padre, gli occhi bicolori della madre.»
«Uno castano, l'altro azzurro.»
Annuii. Difficile dimenticare gli insulsi proprietari della Pensión Paraíso.
«E il ciondolo JS che aveva al collo.»
«Jorge Serano.»
«Sì. E ho sentito Maria Zuckerman pronunciare il suo nome.»
Sentii un fremito di esultanza, ma subito scomparve.
«Che diavolo fanno Serano e la Zuckerman in quel laboratorio?»
«Hai visto qualche coniglio?»
Lo guardai per capire se stava scherzando. Naturalmente stava scherzando.
«Ascolta, se hai ragione su Jorge Serano...»
«Ho ragione, Galiano.»
«Jorge Serano collega la Zuckerman alla Pensión Paraíso. La Zuckerman conosceva Patricia Eduardo. Potrebbe essere il primo passo verso il chiarimento di questa vicenda.»
Eravamo nella volante di Galiano, un isolato oltre la clinica della dottoressa Zuckerman.
«La Zuckerman litiga con Patricia Eduardo. Questa viene trovata morta in un albergo di proprietà dei genitori di un dipendente della Zuckerman.» Stavo cercando, inutilmente, di controllare il mio tono di voce.
«Cerca di non farti venire un infarto.»
«Sto solo esprimendo la mia partecipazione e la mia determinazione.»
«Il tuo ragionamento mi ha convinto. Andiamo a parlare a Serano.»
Ma quando tornammo alla clinica, Serano non c'era più.
E nemmeno Maria Zuckerman.
E nemmeno le donne in attesa della visita.
Un punto per il giuramento di Ippocrate.
La receptionist ammise che Jorge Serano era un dipendente. Lo descrisse come l'assistente personale della dottoressa. L'unico indirizzo che aveva era quello dei genitori, alla Pensión Paraíso.
Suggerii di dare un'altra occhiata al laboratorio di Maria Zuckerman. Galiano non fu d'accordo e preferì aspettare di avere il mandato.
Andammo alla Pensión Paraíso.
Dalla nostra ultima visita, i Serano purtroppo non avevano beneficiato di una trasfusione di materia cerebrale. Non vedevano il figlio da settimane e non sapevano dove potesse trovarsi. Non avevano idea di dove fosse Jorge il 29 ottobre. Non conoscevano Maria Zuckerman, non avevano mai sentito parlare della clinica.
Galiano mostrò loro la fotografia di Patricia Eduardo. Non l'avevano mai vista, e non avevano idea di come fosse finita nella loro fossa biologica.
La señora Serano però guardò ammirata il suo cavallo.
Dopo che avemmo lasciato la Pensión Paraíso, Galiano mi accompagnò alla sede della FAFG, e si mise alla ricerca di Jorge Serano. Stavo lavorando a uno scheletro di Chupan Ya, quando ricevetti una telefonata di Ryan.
«Ho trovato qualcosa nella biancheria di Nordstern.»
«Segni di frenata?»
«Sei un vero spasso, Brennan. Ho bisogno della tua traduzione.»
«Parli spagnolo molto meglio di me.»
«Un altro genere di traduzione. Dal biologese.»
«Non riesci a fare da solo? Da quando ho accettato di aiutare Galiano, non sono più riuscita ad avere un attimo di tempo per occuparmi delle ossa di Chupan Ya, e oggi ho deciso che mi dedicherò solo a questo.»
«Il Pipistrello mi ha detto che non hai pranzato.»
Quando si trattava della regolarità dei miei pasti, mia nonna era una dilettante in confronto a Ryan.
«Ho promesso a Mateo...»
«Vai pure.» Mateo si era materializzato accanto alla mia postazione di lavoro. «Quando prenderete il vostro assassino, noi saremo ancora qui.»
Mi appoggiai il telefono al petto.
«Sei sicuro?»
Mateo annuì.
Diedi istruzioni a Ryan e riagganciai.
«Posso chiederti una cosa, Mateo?»
«Ma certo.»
«Chi è Alejandro Bastos?»
La cicatrice che aveva sul mento divenne sottile come uno stiletto. Indicò lo scheletro tra di noi.
«Un colonnello dell'esercito. Il bastardo assassino responsabile di tutto questo. Che possa marcire all'inferno.»
Dopo un attizzatoio rovente infilato nel naso, la cosa che preferisco è il pesce fritto stracotto e spappolato. Cioè quello che stavo mangiando mentre Ryan sfogliava l'agenda trovata nella valigia di Nordstern.
A un certo punto la sollevò in modo che potessi leggere.
Il 16 maggio Nordstern aveva fissato un incontro con Elias Jiménez.
Tornai indietro con la memoria.
«Era due giorni prima della mia intervista.»
Masticai e deglutii. La seconda azione era una pura formalità.
«Chi è Elias Jiménez?» domandai.
«Un professore di biologia cellulare della Universidad de San Carlos.»
«L'intervista era stata registrata?»
«Purtroppo non l'ho trovata su nessuno dei nastri che ho ascoltato.»
«Per caso il professore sta per avere il piacere di una tua visita?»
«Appena il tenente Galiano si sarà liberato.»
«Intimidito dall'ambiente accademico?»
«Sono un poliziotto in visita in un Paese straniero. Nessuna autorità. Niente armi. Nessun appoggio. Praticamente è come se fossi un giornalista.»
«E un tipo assolutamente ligio alle regole.»
«Assolutamente.»
Allontanai il pesce il più possibile da me.
Durante il tragitto verso la città universitaria, nella Zona Dodici, Galiano aggiornò Ryan e me sui progressi del pomeriggio. Riguardo a Jorge Serano non c'era molto da riferire. Il ragazzo aveva commesso per lo più reati minori: furti nei negozi, atti di vandalismo, guida in stato di ubriachezza. Ma Jorge non era rimasto in giro per discutere le sue infrazioni del passato. Sembrava svanito come fumo al vento.
Il compagno di Galiano aveva fatto ricerche su Antonio Díaz.
Hernández aveva scoperto che il procuratore distrettuale era stato un tenente dell'esercito all'inizio degli anni Ottanta, e che aveva prestato quasi sempre servizio nella zona di Sololá. Il suo comandante era Alejandro Bastos.
Terrifico.
Hernández inoltre aveva scoperto che anche un certo numero di alti funzionari della polizia avevano prestato servizio nell'esercito sotto Bastos.
Muy terrífico.
Il professor Jiménez lavorava nell'Edificio M2, una struttura bianca e azzurra al centro del campus. Seguimmo le indicazioni per Ciencias Biologías e trovammo il suo ufficio al secondo piano.
Ciò che più ricordo di Jiménez è il suo gozzo. Era grosso come una noce e scuro come una prugna. A parte questo, il professore era un uomo molto anziano con intensi occhi neri.
Quando arrivammo da lui, non si alzò, ma si limitò a osservarci entrare nel suo ufficio.
La stanza era circa otto metri per sei. Le pareti erano coperte di fotografie a colori di cellule nelle varie fasi della mitosi. O meiosi. Non ero sicura.
Jiménez non permise a Galiano di parlare.
«Quell'uomo è venuto a chiedermi delle cellule staminali. Gli ho dato una panoramica del problema e ho risposto alle sue domande. È tutto quel che so.»
«Olaf Nordstern?»
«Non ricordo. Diceva che stava effettuando delle ricerche per un articolo.»
«Che cosa le ha domandato?»
«Voleva sapere quali erano le linee di cellule staminali embrionali approvate dal presidente George Bush per la ricerca.»
«E lei?»
«Gliel'ho detto.»
«Che cosa gli ha detto?»
«Secondo il NIH...»
«National Institute of Health» spiegai.
«... esistono settantadue linee di ricerca.»
«Dove?» domandai.
Jiménez sfilò un tabulato da una pila di fogli e me lo porse. Mentre io scorrevo nomi e cifre, Galiano ricevette un corso accelerato sulla ricerca delle cellule staminali.
BresaGen Inc., Athens, Georgia, 4;
CyThera Inc., San Diego, California, 9;
ESI/Monash, Melbourne, Australia, 6;
Geron, Inc., Menlo Park, California, 7;
Università di Göteborg, Göteborg, Svezia, 19;
Karolinska Institute, Stoccolma, Svezia, 6;
National Center for Biological Sciences/Tata Institute of Fundamental Research, Bangalore, India, 3;
Reliance Life Sciences, Mumbai, India,7;
Università di Technion, Haifa, Israele, 4;
University of California in San Francisco, 2;
Wisconsin Alumni Research Foundation of Madison, Wisconsin, 5.
La mia attenzione cadde sul terzo nominativo dell'elenco. Discretamente, lo mostrai a Ryan. I nostri sguardi si incrociarono.
«Settantadue sono sufficienti?» domandò Galiano.
«Caspita, no che non sono sufficienti.»
Mentre parlava, Jiménez aveva uno strano modo di inclinare la testa verso sinistra. Forse il gozzo gli premeva sulle corde vocali. O forse voleva nasconderlo.
«Alcune di quelle linee diventeranno vecchie, o perderanno la pluripotenza, oppure semplicemente si interromperanno. Quattro delle sei colonie create da una delle società di biotecnologia statunitensi, non chiedetemi quale, si stanno rivelando instabili.» Jiménez ebbe un moto di disappunto. «Si è già accumulato un ritardo nell'evasione delle richieste.»
Indicò con un dito ossuto il tabulato che avevo nella mano.
«E guardate quell'elenco. Molte di quelle linee sono in mano ai privati.»
«E le società private non sono famose per il loro spirito di condivisione» commentò Ryan.
«Proprio così, giovanotto.»
«Il governo americano sta facendo qualcosa per garantire l'accesso?» domandò Galiano.
«Il NIH sta creando una sorta di pubblico registro delle cellule staminali embrionali umane. Ciononostante, il NIH ammette che la distribuzione delle linee di cellule sarà a discrezione dei laboratori che le hanno create.»
«Quindi le cellule ES diventeranno un bene prezioso» dedusse Ryan.
La risata di Jiménez ricordava lo schiamazzo di un'oca.
«Le riserve di cellule staminali sono salite alle stelle dopo l'annuncio di Bush.»
Un'ipotesi alquanto inquietante stava prendendo forma in un angolo del mio cervello.
«Dottor Jiménez, la metodologia per creare le colture di cellule ES umane è molto sofisticata?»
«Be', diciamo che non è qualcosa che si possa fare nel laboratorio di scienze del liceo, se è questo che intende; ma per un ricercatore esperto, non è un processo molto complicato.»
«E come funziona?»
«Si prendono gli embrioni freschi o congelati...»
«Dove?»
«Dai laboratori IVF.»
«Sono le cliniche dove le coppie si sottopongono ai trattamenti contro la sterilità» tradussi per i miei amici poliziotti.
«Si estraggono le cellule dalla massa interna di un blastocito, si mettono queste cellule in apposite vaschette di coltura con un medium di crescita rinforzato da siero fetale bovino...»
Il cuore mi schizzò nella stratosfera.
«... su strati di alimentazione di fibroblasti embrionali di topo precedentemente irradiati con raggi gamma per inibire la replicazione. Si lasciano crescere le cellule dai nove ai quindici giorni. Quando le masse interne cellulari si sono divise e hanno formato dei grumi, si dissociano le cellule dalla periferia, le si rimette nel brodo di coltura e...»
Non stavo più ascoltando. Ormai sapevo che cosa stava facendo Maria Zuckerman.
Incrociai lo sguardo di Ryan e gli segnalai che potevamo andare via.
Jiménez intanto stava spiegando una tecnica alternativa che richiedeva l'iniezione di cellule ES nei testicoli di topi immunocompromessi.
«La ringrazio, professore» tagliai corto.
Ryan e Galiano mi guardarono come se fossi impazzita.
«Un'ultima domanda. Nordstern le ha per caso domandato di una certa Maria Zuckerman?»
«È possibile.»
«E lei che cosa gli ha risposto?»
«Quello che dico a lei, signorina. Non ne ho mai sentito parlare.»
«La Zuckerman sta tentando di sviluppare una linea di cellule staminali.»
Eravamo di nuovo a bordo della volante di Galiano. Avevo la faccia in fiamme e sentivo delle strane creature disegnarmi ghirigori dentro la pancia.
«Perché?» domandò Ryan.
«E come diavolo faccio a saperlo? Magari è in lizza per il Nobel. Oppure esiste un mercato nero di cellule staminali.»
Chiusi gli occhi. Il pesce che avevo mangiato a pranzo giocava sul retro delle mie palpebre. Riaprii gli occhi.
«Ma sono sicura che la Zuckerman sta facendo questo. Ho visto il laboratorio, ho visto il siero bovino.»
«Magari quella roba ha altri usi» commentò Galiano.
«Sei delle linee di cellule staminali esistenti sono al Monash Institute of Reproductive Biology di Melbourne, in Australia.» Deglutii. «Maria Zuckerman ha trascorso due anni in un istituto di ricerca di Melbourne. E sono sicura che quell'istituto è il Monash.»
«Ma perché?» ripeté Ryan.
«Forse la Zuckerman ha previsto la nascita di un mercato nero adesso che il governo degli Stati Uniti ha trasformato le cellule staminali ES in una risorsa limitata riducendo i finanziamenti statali.» Galiano mi guardò. «Ti senti bene?»
«Sì.»
«Sei tutta rossa.»
«Sto bene.»
«E la brava dottoressa spera di fare un sacco di quattrini» aggiunse Ryan.
Galiano mi guardò di nuovo, fece per dire qualcosa, invece accese la radio e la sintonizzò.
«Come quelli che commerciano illegalmente in organi.» Ryan suonava meno scettico. «Santa m...»
Lo interruppi.
«E Jorge Serano la sta aiutando.»
Ascoltai Galiano chiedere via radio informazioni su Zuckerman e Serano. Il mio stomaco produsse un suono strano. I due uomini mi lanciarono un'occhiata, ma nessuno dei due commentò.
Percorremmo diversi chilometri ascoltando il gorgoglio del mio stomaco competere con il fruscio della radio.
Fui io a parlare per prima.
«Che cosa c'entra Patricia Eduardo?»
«Che cosa c'entra Antonio Díaz?» proseguì Galiano.
«Che cosa c'entra Ollie Nordstern?» concluse Ryan.
Nessuno seppe rispondere a nessuno.
«Ho un piano» disse Ryan. «Il Pipistrello convince un giudice a emettere il mandato.»
«E potete scommettere che non andrò da quel fetente di Díaz.»
«Io finisco di ascoltare i nastri con le interviste. Brennan esamina i documenti di Nordstern.»
«Bene» dissi. «Ma lavoro in camera mia.» D'un tratto sentivo il bisogno di stare vicino al mio bagno.
«Non ti piace la mia compagnia?» mi chiese Ryan con la sua faccia da persona offesa.
«No, il problema è la mosca» dissi. «Non andiamo molto d'accordo.»
Il tempo di passare al comando centrale di polizia, prendere la documentazione di Nordstern e arrivare al mio albergo, ed erano già le cinque passate.
Il marciapiede ormai sembrava colpito da un missile tomahawk. Quattro martelli pneumatici erano impegnati in un'impietosa aggressione che mi faceva vibrare il cervello fino all'ultima cellula. Le fotoelettriche e i cestini con il cibo lasciavano presagire che il rumore sarebbe continuato per tutta la notte.
Borbottai un'imprecazione particolarmente colorita.
Ryan e Galiano mi domandarono se mi sentivo bene. Assicurai che avevo solo bisogno di un po' di riposo. E non parlai di bagno.
Mentre si allontanavano, mi accorsi che stavano ridendo.
La paranoia divampò.
Rinnovai la mia imprecazione.
Arrivata in camera, andai dritta al mio pronto soccorso da viaggio.
Katy mi prende sempre in giro, perché quando vado all'estero mi porto sempre un'intera farmacia. Collirio. Spray nasale. Antiacido. Lassativo. Non si sa mai.
Quel giorno sapevo.
Ingurgitai Imodium e Maalox e mi allungai sul letto. E subito schizzai in bagno. Decenni dopo, mi sdraiai di nuovo. Ero un po' debole ma stavo decisamente meglio.
Il martello pneumatico martellava.
La mia testa pure.
Accesi il ventilatore. Invece di attutire il rumore, lo amplificò.
Tornai in bagno, immersi una pezzuola in acqua fredda, me la posai sulla fronte e andai ancora a sdraiarmi, chiedendomi se avevo davvero voglia di vivere.
Appena riuscii ad appisolarmi squillò il telefono.
Imprecazione.
«Sì!»
«Ryan.»
«Sì.»
«Stai meglio?»
«Accidenti a te e al tuo pesce.»
«Ti avevo detto di prendere un hot dog. Ma cos'è questo rumore?»
«Martelli pneumatici. Perché mi stai chiamando?»
«Avevi ragione su Melbourne. La Zuckerman è stata due anni al Monash Institute of Reproductive Biology. Era assistente e anche ricercatrice, o qualcosa del genere, mi pare.»
«Ah.»
Ascoltavo Ryan e il mio stomaco contemporaneamente.
«Non potresti mai immaginare chi altro c'era a Melbourne.»
Il nome che seguì attirò tutta la mia attenzione.
28
«Quel Lucas? Quello che ha confiscato lo scheletro della Pensión Paraíso per conto di Antonio Díaz?»
«Hector Luis Castillo Lucas.»
«Ma Lucas è un medico legale.»
«A quanto pare, non ha esordito così.»
«Ma qual è il nesso tra Díaz e Lucas?» domandai.
«Faresti meglio a chiedere qual è il nesso tra Lucas e la Zuckerman.»
«Ci sono novità su Serano o la Zuckerman? Siete riusciti a prenderli?»
«Non ancora. Galiano ha messo sotto sorveglianza la clinica e la casa della Zuckerman, e ha diramato un messaggio a tutte le volanti con la sua auto e numero di targa. Ha messo sotto sorveglianza anche la Pensión Paraíso. Dovremmo riuscire a beccarli prima del notiziario delle dieci.»
«Galiano ha ottenuto il suo mandato?»
«Sta parlando con un giudice in questo momento.»
Riagganciai, mi sistemai la pezzuola sulla fronte e appoggiai di nuovo la testa sul cuscino.
Tutto questo davvero non aveva senso. O ce l'aveva? Lucas lavorava per Díaz? Il dottore aveva ordinato la distruzione delle ossa di Patricia Eduardo dietro richiesta del procuratore distrettuale? O era il contrario? Era Lucas ad avere potere su Díaz?
Díaz poteva essere collegato a Chupan Ya, forse perfino all'imboscata a Carlos e a Molly. Ma perché avrebbe dovuto confiscare le ossa della fossa biologica? Perché avrebbe dovuto avere interesse ad ammazzare una ragazza incinta?
Carlos e Molly! I loro aggressori avevano veramente pronunciato il mio nome? Ero io il prossimo bersaglio? E di chi?
Mi sentivo infreddolita e spaventata, e mi infilai sotto le coperte.
Ma la mia testa continuava a farsi mille domande.
Lucas doveva per forza conoscere la Zuckerman. Era difficile che due medici guatemaltechi presenti in un centro di ricerca australiano nello stesso periodo non si conoscessero. Lavoravano insieme? E su che cosa?
Qual era il grande segreto di Ollie Nordstern? E come lo aveva scoperto?
Esisteva un nesso tra Bastos e Díaz, a parte il periodo comune nell'esercito? Perché Nordstern aveva cerchiato la fotografia di Díaz e Bastos che passavano in rivista la parata a Xaxaxak?
Queste cose erano tutte collegate? O solo in parte? Si trattava solo di episodi di corruzione in un Paese corrotto?
Ero in pericolo?
Il martello pneumatico copriva il frastuono del traffico dell'ora di punta. Il ventilatore ronzava. Lentamente la stanza fu invasa dalla penombra, i rumori scemarono.
Non avrei saputo dire quanto tempo era passato, quando il telefono squillò. Balzai a sedere; la stanza era immersa nel buio.
Dall'altra parte del filo, qualcuno respirò. Tu-tuu. Tu-tuu.
«Maledetto bastardo!» Doveva aver chiamato la stanza sbagliata e aveva riattaccato.
Sbattei la cornetta sul telefono.
Seduta sul bordo del letto, mi portai le mani alle guance. Erano fresche. Le medicine stavano facendo effetto.
Rat-a-tat-a-tat. Rat-a-tat-taaaat. Rat. Rat. Rat.
Ma quanto cemento poteva esserci ancora là sotto?
«Basta.»
Presi una Diet Coke dal frigobar e bevvi un sorso.
Oh, sì.
Bevvi ancora, per mettere alla prova il mio stomaco, e posai la lattina sul tavolo. Poi mi spogliai, e rimasi sotto la doccia finché il bagno non fu grigio di vapore. Chiusi gli occhi, lasciai che l'acqua mi scivolasse sul seno, sulla schiena, sulla pancia ormai distesa. Poi passai alla testa, alle spalle, ai fianchi.
Mi asciugai, mi spazzolai i capelli, mi lavai i denti, quindi mi infilai un paio di calze di cotone e una tuta dell'FBI.
Mi sentivo rinata. Presi la documentazione di Nordstern e mi sedetti al tavolo. Nella stanza accanto udii un televisore e l'inconcludente girandola dei canali. Infine il mio vicino si fermò su una partita di football.
Il primo fascicolo che aprii era etichettato Specter. Conteneva ritagli di giornale, appunti, e una raccolta di fotografie dell'ambasciatore e della sua famiglia. C'erano anche due polaroid di Specter e di Aida Pera.
Il secondo fascicolo era anonimo. Conteneva ricevute di ristoranti e di taxi. Scontrini. Tessere varie.
Finii la Diet Coke.
Fuori, il martello pneumatico continuava incessante la sua opera.
Riconobbi l'etichetta sul terzo fascicolo: SCELL. Dopo aver esaminato la metà del contenuto, capii.
Cellule staminali ricavate da cadaveri.
Mentre leggevo la relazione, il petto mi si strinse.
Un'équipe di ricercatori del Salk Institute di La Jolla, in California, aveva messo a punto una tecnica per ricavare cellule staminali da campioni umani post mortem. La scoperta era illustrata sulla rivista «Nature».
«Gesù.»
La mia voce risuonò nella stanza vuota.
Continuai a leggere.
I tessuti di un bambino di undici settimane e di un uomo di ventisette anni, immersi in una successione di soluzioni, avevano rilasciato cellule cerebrali immature. L'équipe del Salk Institute aveva utilizzato la stessa tecnica anche su soggetti di età diverse e su campioni estratti fino a due giorni dopo la morte.
Una nota spiegava che la relazione era stata scaricata dalla homepage di BBC News. Accanto all'indirizzo http, qualcuno aveva aggiunto il nome Zuckerman.
Mi sentivo gelata e bollente al tempo stesso, le mani mi tremavano.
Rilassati, Brennan.
Era ora di prendere un altro Imodium.
Uscita dal bagno, notai una strana ombra scivolare sulla moquette di fronte alla porta. Andai a controllare. La porta non era perfettamente chiusa.
Quando ero arrivata, mi ero precipitata in bagno e l'avevo lasciata aperta? È vero che mi sentivo malissimo, ma una simile leggerezza non era da me.
Accostai la porta e chiusi a chiave, mentre sentivo una certa inquietudine aggiungersi agli altri sintomi.
Telefonai a Galiano. Ero debolissima. Il tremore alle mani era aumentato.
Galiano e Ryan non c'erano. Dovetti deglutire più volte prima di poter lasciare un messaggio.
Accidenti! Non potevo ammalarmi! Non volevo!
Raccolsi il materiale di Nordstern e lo spostai vicino alla poltrona. Tolsi la coperta dal letto, mi rannicchiai e mi ci avvolsi dentro. Mi sentivo sempre peggio.
Terribilmente peggio.
Aprii uno dei fascicoli. Appunti sulle interviste. Mentre leggevo non potevo fare a meno di detergermi il viso. Sentivo i rivoli di sudore colarmi lungo il corpo all'interno della tuta.
Nel giro di qualche minuto, sentii una fitta allo stomaco e un fremito sotto la lingua. Una vampata di calore mi salì dalla gola alla radice dei capelli.
Corsi in bagno, vomitai finché i fianchi non mi fecero male, poi tornai alla poltrona per rannicchiarmi ancora al mio posto. Dovetti ripetere il viaggio più volte, e a ogni giro mi sentivo più debole.
Quando crollai nella poltrona per la quarta volta, chiusi gli occhi e mi tirai la coperta fino al mento. Sentii il cotone ruvido contro le guance. Sentii il mio odore. La testa mi girava, e vidi minuscole costellazioni dietro le palpebre.
I martelli pneumatici si affievolirono fino a ricordare il pop-corn che scoppia nella padella; vedevo locuste in una sera d'estate. Ali di garza. Occhi rossi e sporgenti. Sentii gli insetti ronzarmi nel sangue.
Di colpo sono con Katy. Lei è piccola, forse tre, quattro anni, e stiamo leggendo un libro di filastrocche. I suoi capelli sono quasi bianchi. Il sole li illumina come la luna illumina la nebbia. Indossa un grembiule che le ho comprato durante un viaggio a Nantucket.
Lascia che ti aiuti, tesorino.
Ce la faccio da sola.
Certo, che ce la fai.
Le conosco le letterine. Ma a volte non riesco a metterle insieme.
Il difficile è proprio quello.
Fai con calma.
Hector Protector si alza la mattina;
Hector Protector va dalla regina.
La regina non lo vuole, il re nemmeno,
e Hector Protector deve tornare in treno.
Mammina, perché non lo vogliono?
Non lo so.
Era cattivo?
Non credo.
Come si chiama la regina?
Arabella.
Katy ride.
Come si chiama il re?
Charlie Oliver.
Katy ride ancora.
Mammina, i tuoi nomi sono sempre buffi.
Mi piace vederti ridere.
Come si chiama Hector Protector di cognome?
Lucas.
Ma forse non è veramente un protettore.
Forse non lo è.
E che cosa è allora, mammina?
Un saltatore?
Risata.
Un sollevatore.
Un difensore.
Un portatore.
Un lottatore.
Un ispettore.
Mi svegliai, e mi ritrovai in bagno, mani e fronte appoggiate allo specchio.
Era quella la parola che aveva sentito Molly. Non ispettore. Né Specter.
Ma Hector.
Hector Lucas.
Possibile che il medico legale controllasse il procuratore distrettuale? Era stato Lucas il mandante dell'aggressione a Molly e Carlos? Qual era il suo legame con il nostro lavoro a Chupan Ya? Non riuscivo a capirlo. Aveva fatto uccidere Nordstern una volta che il giornalista era arrivato troppo vicino alla verità? Aveva fatto uccidere anche Patricia Eduardo? Avrebbe riservato lo stesso trattamento a Maria Zuckerman e a Jorge Serano?
Avrebbe tentato di uccidere Galiano e Ryan?
Corsi al comodino, cercai il cellulare.
Ryan e Galiano non rispondevano.
Mi detersi il sudore con il braccio.
Dove stavano andando? Alla clinica della Zuckerman? All'obitorio?
Pensa, Brennan!
Inspirai a fondo, aprii gli occhi, li richiusi. Le immagini mi turbinavano in testa. Le stelle mi scintillavano sulle palpebre.
Che fare?
Se Lucas era davvero pericoloso, Ryan e Galiano non avrebbero potuto saperlo. La Zuckerman poteva già averlo avvertito, e Lucas poteva pensare che stessero andando ad arrestarlo e avrebbe potuto sparare.
Mi infilai le scarpe, afferrai la borsa e scesi nella hall.
Ci vollero venti minuti per trovare un taxi.
«¿Dónde?»
Dov'erano andati Ryan e Galiano? Non alla Pensión Paraíso, e neanche alla clinica. Quei posti erano già sotto sorveglianza.
Il tassista tamburellò sul volante con le dita.
Dove poteva essere Lucas?
O forse era meglio Díaz? Forse la dottoressa Fereira avrebbe potuto dirmelo.
Un tremore mi attraversava tutto il corpo; battevo i denti.
«¿Dónde, señora?»
Concentrati!
«Morgue del Organismo Judicial.»
«Zona Tre?»
«Oui.»
No, era sbagliato. Perché?
Mentre il taxi attraversava la città, osservai la mutevole girandola di colori e di forme che incrociavamo. Gli striscioni tesi sopra le strade. I cartelloni pubblicitari attaccati su recinzioni, muri e tabelloni. Non cercai di leggerli. Non potevo. La testa mi girava come ai tempi in cui bevevo, quando mi addormentavo con un piede sul pavimento per rimanere ancorata al pianeta.
Capii di aver pagato troppo il tassista dal suo sorriso e da come ripartì.
Non importava.
Mi guardai intorno. Il quartiere era squallido come lo ricordavo, il cimitero più grande e più cupo. L'auto di Galiano non era da nessuna parte.
Fissai l'obitorio. Angelina Fereira. Dovevo vedere la dottoressa Fereira. Seguii un vialetto di ghiaia lungo il lato sinistro dell'edificio. Le mie scarpe da ginnastica producevano uno scricchiolio che mi rimbombava in testa.
Il vialetto portava a un parcheggio occupato da due veicoli da trasporto, una Volvo bianca e una station wagon nera. Niente volante di Galiano.
Una goccia di sudore mi scivolò nell'occhio destro. La asciugai con la manica.
E adesso? Non avevo messo in conto di dover entrare senza Ryan o Galiano. Dovevo cercare la dottoressa Fereira?
Provai l'entrata del personale sul retro dell'edificio. Niente. Anche la porta del garage utilizzata per il trasporto dei cadaveri era chiusa.
Cercai di calmarmi. Mi avvicinai al primo furgone e sbirciai all'interno attraverso il finestrino. Niente.
Passai al secondo furgone.
Al terzo.
C'era un mazzo di chiavi sul sedile!
Con il cuore che batteva forte, recuperai il mio bottino e tornai sul retro dell'edificio.
Nessuna delle chiavi apriva la porta del personale.
Accidenti.
Con mano tremante, provai le chiavi una a una sul portone di ingresso dei veicoli.
No.
No.
No.
Il mazzo di chiavi mi cadde. Mi inginocchiai carponi, e cercai al buio. Un'eternità dopo, finalmente le mani si chiusero sulle chiavi.
Mi alzai in piedi e riprovai.
La quinta o sesta chiave entrò nella serratura e girò. Scostai la porta di pochi centimetri e mi fermai.
Niente sirene né allarmi. Niente guardie armate.
La scostai ancora un po'. Il rumore dei cardini mi sembrò più potente dei martelli pneumatici del mio albergo.
Non arrivò nessuno. Nessuno gridò.
Senza quasi respirare, mi accucciai e proseguii come un granchio all'interno dell'obitorio. Ma perché ero entrata? Ah, sì. Per cercare la dottoressa Fereira, oppure Ryan o Galiano.
Il familiare odore di morte e di disinfettante mi avvolse. Era un odore che avrei riconosciuto ovunque.
Con la schiena rivolta al muro, seguii un corridoio superando un deposito di lettighe, un ufficio, e una stanzetta con una finestra coperta da una tenda.
Il mio laboratorio di Montréal aveva una camera simile. I morti venivano trasportati sulle lettighe al di là della finestra, le tende venivano aperte. Un parente reagiva con sollievo o dolore. E il luogo più straziante dell'edificio. Oltre la stanza dei riconoscimenti, il corridoio finiva in un altro corridoio. Guardai a sinistra, poi a destra.
Un'altra luce mi brillò dietro agli occhi. Li chiusi, respirai a fondo, li riaprii. Meglio.
Anche se ero circondata dal buio, sapevo dove mi trovavo. A sinistra, riconobbi la sala autopsie, a destra l'atrio da cui Angelina Fereira mi aveva accompagnato nel suo ufficio.
Quanto tempo era passato da quando mi aveva dato le TAC di Patricia Eduardo? Una settimana? Un mese? Una vita? Il mio cervello non era in grado di contare.
Andai a destra. Forse era lì. E mi avrebbe potuto parlare di Lucas.
D'un tratto una fitta nelle viscere mi costrinse a piegarmi in due. Cominciai a respirare rapidamente, in attesa che il dolore passasse. Quando ripresi la posizione eretta, mi sentii scoccare un fulmine dietro gli occhi e la testa mi esplose. Mi appoggiai alla parete, e vomitai scossa da lunghi e profondi spasmi.
La dottoressa Fereira? Ryan? Galiano?
Una vita dopo, le contrazioni finirono. Avevo la bocca amara. I fianchi mi dolevano. Le gambe erano molli, il corpo caldo e freddo al tempo stesso. La dottoressa Fereira avrebbe mandato qualcuno a pulire quel disastro.
Proseguii, sostenendomi alla parete. L'ufficio della dottoressa era vuoto. Invertii la direzione, e mi avviai verso le sale autopsia.
La numero 1 era buia e deserta.
Idem per la 2.
Nella numero 3 notai una luce violetta filtrare dalla porta. Era la sala in cui avevo esaminato lo scheletro di Patricia Eduardo. La dottoressa probabilmente era lì.
Lentamente, aprii la porta.
Di sera, in un obitorio, c'è una calma surreale. Niente pompe di aspirazione, niente ronzii delle seghe, niente acqua che scorre, niente tintinnio di strumenti. È un silenzio diverso da tutti i silenzi che conosco.
La stanza era vuota e mortalmente tranquilla.
«Dottoressa Fereira?»
Qualcuno aveva lasciato una radiografìa su un diafanoscopio. La luce riverberava dalla lastra come il bagliore azzurrino di un televisore in bianco e nero al buio. Il vetro e il metallo scintillavano freddi.
In fondo alla stanza notai una lettiga accanto al refrigeratore in acciaio, su cui era posato un sacco mortuario. Dal gonfiore, capii che dentro c'era qualcuno.
Un altro spasmo. Una serie di puntini neri danzarono nel mio campo visivo.
Mi avvicinai al tavolo anatomico, abbassai la testa, e cercai di respirare a fondo.
Inspirare.
Espirare.
Inspirare.
Espirare.
I puntini si dissolsero. Riuscii a controllare la nausea.
Meglio.
Un corpo sul refrigeratore. Qualcuno doveva essere al lavoro.
«Dottoressa Fereira?»
Feci per prendere il cellulare. La tasca era vuota.
Accidenti!
Mi era caduto? L'avevo lasciato in albergo? Ma quando avevo lasciato l'albergo?
Guardai l'orologio. Non riuscivo a vedere le cifre.
Così non andava bene. Dovevo uscire. Non ero in grado di aiutarli.
Aiutare chi?
Andare dove?
Dove mi trovavo?
In quel momento percepii, più che sentire, un movimento alle mie spalle. Non un suono, ma una sorta di fremito dell'aria.
Mi voltai. Un fuoco d'artificio mi scoppiò nel cervello. Un fuoco mi divampò dall'inguine alla gola.
Sulla porta c'era qualcuno.
«Dottoressa Fereira?»
Avevo parlato o lo avevo solo immaginato?
La figura aveva qualcosa in mano.
«Señor Díaz?»
Nessuna risposta.
«Dottoressa Zuckerman?»
La figura rimase immobile.
Sentii le mani scivolare, la guancia urtò il bordo di metallo della lettiga. Il respiro mi esplose nei polmoni. Il pavimento mi precipitò verso la faccia.
Buio.
29
Non avevo mai avuto tanto freddo in vita mia.
Ero sdraiata sul ghiaccio in fondo a un lago profondo e oscuro.
Cercai di muovere le dita per recuperare la sensibilità, e mi sforzai di tornare in superficie.
Troppa fatica. Troppo profondo.
Inspirai.
Pesce morto. Alghe. Creature degli abissi.
Allargai le braccia.
Contatto.
Seguii i contorni con la mano.
Una superficie verticale con il bordo arrotondato.
Esplorai il bordo. Non era ghiaccio, ma metallo, e mi circondava come una bara.
Inspirai di nuovo, a lungo.
Puzzo di morte e di disinfettante. Ma le proporzioni erano invertite. Il tanfo di carne putrefatta aveva la meglio.
Carne congelata.
Il cuore mi si strinse.
Oh, mio Dio!
Ero sdraiata su una lettiga, nella cella frigorifera dell'obitorio.
Con i morti!
Oh, mio Dio!
Da quanto tempo avevo perso conoscenza? Chi mi aveva messo sulla lettiga?
Quella persona era ancora lì?
Aprii gli occhi e sollevai la testa.
Schegge di ghiaccio mi penetrarono il cervello. Le budella mi si torsero.
Ascoltai.
Silenzio.
Mi sollevai sui gomiti e sbattei gli occhi.
Nero inchiostro.
Mi alzai a sedere. Attesi. Malconcia, ma niente nausea.
I piedi erano due pesi morti. Mi afferrai le caviglie e le avvicinai cominciando a massaggiarle. Lentamente, la sensibilità tornò.
Ascoltai eventuali segni di attività al di fuori della cella frigorifera.
Silenzio.
Spostai le gambe fuori della lettiga e scesi a terra.
Avevo le ginocchia molli, e caddi malamente sul pavimento. Una fitta lancinante mi attraversò il polso.
Maledizione!
La mano destra incontrò una ruota di gomma.
Mi misi carponi e poi mi rialzai in piedi.
Un'altra lettiga.
Non ero sola.
Sulla lettiga, un sacco mortuario. Occupato.
Mi allontanai istintivamente dal cadavere. Avevo la bocca secca. Il cuore mi martellava nel petto.
Mi voltai e faticosamente mi spostai nella direzione in cui pensavo di trovare la porta.
Santo Dio, ci sarà una maniglia all'interno? Queste celle hanno la maniglia anche all'interno? Ti prego, fa' che ci sia!
Avevo aperto la porta della cella frigorifera migliaia di volte, e non l'avevo mai notata.
Tremante, avanzai a tentoni nel buio.
Ti prego! Metallo gelido. Liscio. Lo seguii con le mani.
Ti prego! Fa' che ci sia la maniglia!
A ogni minuto che passava mi sentivo sempre più debole. Mi sentii in bocca il sapore della bile, soffocai un brivido.
Anni, secoli, millenni dopo, la mia mano la trovò.
Sì!
Abbassai la maniglia, spinsi la porta. Sbirciai fuori.
Sul diafanoscopio, organi grigi e fumosi, ossa opache, il riverbero del ritratto di un essere umano nel buio.
Sala autopsie numero 3, penombra.
Sulla lettiga dietro di me, per caso c'era il recente ospite della sala 3? Eravamo stati messi in ghiaccio dalla stessa mano?
Lasciando la porta scostata, tornai alla lettiga e aprii la cerniera del sacco mortuario. Una lama di luce cadde su un paio di piedi cerei.
Girai il cartellino attaccato all'alluce e faticai a leggere il nome. La luce era scarsa e le lettere piccole.
RAM...
I contorni dei caratteri si confondevano come ciottoli sul fondo di un ruscello. Sbattei gli occhi.
RAMÍR...
Nebbia.
RAMÍREZ.
L'equivalente guatemalteco di Smith o Jones.
Mi spostai verso la parte superiore della lettiga, continuando ad aprire la cerniera. Arrivata alla testa abbassai il lembo superiore.
La faccia di Maria Zuckerman era spettrale, e al centro della fronte si apriva un foro, un piccolo cerchio nero. Il davanti degli abiti era macchiato da strisce scure.
Le sollevai una mano. Era completamente rigida.
Tremando in modo incontrollato, tornai verso la base della lettiga, chiudendo la cerniera.
Perché?
Inutile abitudine.
Spinsi la porta con il sedere ed entrai indietreggiando nella sala 3.
E d'un tratto mi sentii il freddo dell'acciaio premuto contro la base della testa.
«Bentornata, dottoressa Brennan.»
Era una voce conosciuta.
«La ringrazio infinitamente per averci risparmiato un viaggio.»
«Lucas?»
Sentii la canna, il tubo vuoto e freddo che mi avrebbe potuto conficcare una pallottola nel cervello.
«Aspettava qualcun altro?»
«Díaz.»
Lucas ebbe un gesto di impazienza.
«Díaz fa quello che dico io.»
Le mie cellule cerebrali intorpidite urlarono solo due parole.
Prendi tempo!
«Perché ha ucciso Maria Zuckerman?»
Avevo la testa pesante. La lingua spessa.
«E avete fatto fuori anche Ollie Nordstern.»
«Nordstern era uno stupido.»
«Nordstern era furbo a sufficienza per scoprire il vostro sporco gioco delle cellule staminali.»
Un'incertezza nel respiro alle mie spalle.
Continua a farlo parlare!
«Anche Patricia Eduardo ha commesso lo stesso errore? Ha scoperto che cosa stava combinando la Zuckerman?»
«Lei è una donna che si dà molto da fare.»
La stanza stava girando.
«Ed è anche un osso duro, dottoressa Brennan. Più duro di quanto mi aspettassi.»
Mi premette la nuca con la pistola.
«Adesso torni a dormire.»
Un altro invito con la pistola.
«Cammini.»
Non farti mettere nella cella frigorifera!
«Ho detto di camminare.» Lucas mi spingeva da dietro.
No!
Morire per un colpo di pallottola o morire Dio sa come in una cella frigorifera? Mi voltai di scatto e schizzai verso la porta.
Chiusa!
Mi girai per affrontare il mio aggressore.
Lucas mi puntò la Beretta al petto.
Mi si annebbiò la vista.
«Avanti, dottor Lucas. Spari.»
«Inutile.»
Ci guardammo in cagnesco, diffidenti come due animali in agguato.
«Perché Maria Zuckerman?» domandai.
L'immagine di Lucas si divise in quattro, dopodiché si ricompose.
«Perché Maria Zuckerman?»
L'avevo detto o l'avevo solo immaginato?
«Lei è molto pallida, dottoressa Brennan.»
Sbattei le palpebre per eliminare un filo di sudore.
«La mia esimia collega le terrà compagnia.»
Faticai a capire il senso di quella frase.
«Perché?» ripetei.
«La dottoressa Zuckerman non era affidabile. Era debole e incline al panico. Non come lei.»
Perché Lucas non mi sparava?
«Uccidevate le vostre vittime, dottor Lucas? O vi limitavate a depredare i loro cadaveri?»
Lucas deglutì e il suo pomo d'Adamo sobbalzò.
«Avremmo potuto dare un grande contributo.»
«Oppure creare un mercato nero degli omicidi.»
Le labbra di Lucas formarono l'imitazione di un sorriso.
«Lei è anche meglio di ciò che pensavo. D'accordo. Adoro giocare a carte scoperte. Parliamo di scienza.»
«Parliamone.»
Prendi tempo!
«Il suo presidente ha riportato la ricerca sulle cellule ES al dodicesimo secolo.»
«Ha agito nel rispetto dell'etica scientifica.»
«Etica?» Lucas rise.
«Lei non crede che l'etica sia una buona motivazione?»
I miei pensieri erano frammentali. Anzi, pensare mi diventava sempre più diffìcile.
«Il fatto che per avere cellule staminali sia necessario uccidere bambini piccoli? Che i ricercatori delle cellule staminali non siano migliori di Mengele e dei suoi mutilatori nazisti? Per lei tutte queste stronzate sono l'etica scientifica?»
Lucas puntò la pistola verso un elenco di norme di sicurezza appeso alla parete.
«Un blastocito non è più grande del puntino di quella i.»
«È comunque vita.» Le mie parole suonarono indistinte e lontane.
«Scarti delle cure per la fertilità. Resti di gravidanze interrotte.»
Lucas era sempre più agitato. Stavo sbagliando tutto.
«Centinaia di migliaia di persone soffrono per il morbo di Parkinson, di diabete, di lesioni al midollo spinale. Noi avremmo potuto aiutarle.»
«Era questo l'obiettivo della Zuckerman?»
«Sì.»
«Il suo invece era riempirsi il portafoglio.»
«Perché no?» La saliva gli scintillava agli angoli della bocca. «Cuori meccanici. Prodotti farmaceutici. Brevetti su apparecchi ortopedici. Un dottore furbo può guadagnare miliardi.»
«Assassinando la gente, o semplicemente rubando embrioni?»
Non l'avevo già chiesto qualche eone fa?
«La Zuckerman avrebbe passato la vita a mescolare ovuli e sperma nelle sue vaschette. Il mio sistema era più rapido. E avrebbe funzionato.»
Volevo chiudere gli occhi.
«Lei sa, vero, che è tutto finito?» dissi.
«Sarà tutto finito solo quando lo deciderò io.»
Avrei voluto smettere di ascoltare e dormire.
«L'omicidio della Zuckerman sarà scoperto. Il suo laboratorio è già stato perquisito.»
«Lei sta mentendo.» Il contorno di un occhio ebbe un fremito.
«Due investigatori della Omicidi stanno per arrivare qui. Dovevamo incontrarci.»
Lucas si inumidì le labbra.
Continuai a incalzarlo, rendendomi conto a malapena di ciò che stavo dicendo.
«La verità su Chupan Ya sta venendo a galla. Stiamo ricostruendo quello che è successo a quelle povere persone.» Le ginocchia cominciarono a cedere. «E il suo ricatto è finito. Il coinvolgimento di Díaz nel massacro verrà alla luce. E non sarà più il suo burattino.»
Lucas serrò la stretta sulla pistola.
«Jorge Serano è stato fermato. Gli proporranno uno sconto di pena e lui la denuncerà.»
Lucas scoppiò a ridere. «E per che cosa? Per aver rubato qualche embrione morto?»
«Per aver assassinato Patricia Eduardo.»
Lucas continuò a guardarmi fisso negli occhi.
«Quello scheletro ormai è sparito. La sua identità non verrà mai ricostruita.»
«Lei dimentica una cosa, dottor Lucas. Il bambino mai nato di Patricia. Il bambino cui lei non ha permesso di venire alla luce.»
In lontananza udii il suono di una sirena. Lucas si voltò un istante verso destra, poi tornò subito su di me.
Continua a parlare!
«Ho trovato le ossa del bambino tra i vestiti della madre assassinata. Da quelle ossa otterremo il DNA.»
Secondo dopo secondo, la mia voce era sempre più lontana.
«E quel DNA verrà confrontato con il campione fornito dalla madre di Patricia Eduardo. Quel bambino tornerà dalla morte per decidere il suo destino.»
Le nocche di Lucas erano bianche, gli occhi duri e nerissimi. Lo sguardo di un cecchino, di un terrorista, di un rapitore di ostaggi ormai con le spalle al muro. Che ha capito di non avere più scampo.
«In tal caso, forse dovrei pareggiare i conti con lei. Cos'altro mi resta da fare?»
Un velo mi annebbiò la vista. Non riuscivo più a parlare. Non potevo muovermi. Sarei morta in un obitorio del Guatemala.
Poi: «Lei è una donna in gamba e piena di risorse, dottoressa Brennan. Devo ammetterlo. Consideri questo come il suo anno fortunato».
Attraverso una nebbia oscura vidi Lucas allontanare la pistola dal mio petto, infilarsi la canna in bocca, premere il grilletto.
30
L'intera vicenda non conquistò mai le prime pagine dei giornali, né in Guatemala né in Canada.
A Ciudad de Guatemala, «La Hora» riferì dell'incriminazione di Miguel Angel Gutiérrez per omicidio di primo grado, citando le parole con cui la madre di Claudia De la Alda aveva espresso la sua soddisfazione per le indagini. Due colonne a pagina 17.
In articoli separati, gli omicidi di Patricia Eduardo e Maria Zuckerman venivano attribuiti al crimine organizzato, e la morte di Lucas era stata classificata come un semplice suicidio.
Non una parola sulle cellule staminali.
A Montréal, «La Presse» e la «Gazette» pubblicarono una serie di brevi articoli sulla sparatoria di Rue Sainte-Catherine. Oltre a Carlos Vicente, un secondo sospettato era stato identificato a Ciudad de Guatemala. L'uomo era morto prima che si potesse procedere all'arresto. Punto. Nessuna ipotesi sulla ragione per cui un guatemalteco andava a Montréal a sparare a un americano.
Non una goccia di inchiostro, da nessuna parte, su Antonio Díaz, Alejandro Bastos o André Specter. Díaz rimase giudice. Specter rimase ambasciatore.
Presumibilmente, Bastos rimase morto.
Non capirò mai fino in fondo perché Lucas rivolse la pistola verso se stesso. Credo si sia trattato di una combinazione di arroganza e di disperazione. Si considerava un essere superiore. E quando vide che tutto era perduto, scelse di dettare lui i termini della sua fine. Fu sempre arroganza, credo, quella che lo indusse a risparmiarmi. Voleva farmi sapere che era stato lui a decidere che avrei vissuto. E voleva che lo ricordassi. Per sempre.
Il giorno dopo i fatti dell'obitorio, Ryan arrivò in ospedale alle sette del mattino. Con i fiori.
«Grazie, Ryan. Sono splendidi.»
«Come te.» Sorriso impacciato.
«Ho un occhio nero, la guancia come una melanzana, ho un ago nel braccio, e l'infermiera Kevorkian mi ha appena infilato una supposta.»
«A me piaci.»
Aveva i capelli opachi, non si rasava da due giorni, la giacca era sporca di cenere, che probabilmente gli era caduta addosso e lui aveva cercato di pulire. Anche a me Ryan piaceva.
«Va bene, va bene» dissi.
Ero sveglia ma debole. Quello che avevo nel metabolismo, qualunque cosa fosse, non c'era più, neutralizzato dai farmaci o semplicemente dal passare del tempo.
«Galiano e io ti abbiamo chiamata al cellulare, appena il giudice ha firmato il mandato per la perquisizione della clinica della Zuckerman. Nessuna risposta. Abbiamo riprovato quando la polizia ha pizzicato Jorge Serano.»
«Forse ero sotto la doccia, o forse ero già uscita, e avevo dimenticato il telefono in camera.»
«Abbiamo pensato che lo avessi spento per dormire. Quando sono tornato in albergo, ti ho bussato alla porta, e ho girato la maniglia per vedere se era aperta.»
«Con quali propositi?»
«Volevo solo controllare le condizioni di salute di un'amica.»
Finsi di colpirlo allo stomaco. Lui indietreggiò.
«Quella taquería è stata una tua idea.»
«Ma sei tu che hai scelto il pesce.»
«Già. Ricordo perfettamente di aver ordinato un contorno di botulismo.»
«Pare che sia incluso nel prezzo. Anche se tu vuoi ingiustamente dare la colpa al pesce. Comunque, la tua porta era aperta, la stanza sottosopra» proseguì Ryan. «Ho notato l'articolo sulle cellule staminali ricavate dai cadaveri, e ho pensato che forse eri andata a fare qualcuna delle tue indagini, o qualcosa di altrettanto stupido.»
«Grazie.»
«Non c'è di che.»
«Ho tirato Galiano giù dal letto per vedere se riuscivamo a trovarti.»
«Sono sicura che l'idea lo avrà entusiasmato.»
«Il Pipistrello è un tipo flessibile. Abbiamo chiamato la FAFG. Qualcuno stava ancora lavorando, ma non ti avevano vista. Ho accennato al fatto che avevi ipotizzato un legame tra Maria Zuckerman e Lucas, e Galiano ha deciso di andare a fare due chiacchiere con Lucas. Il dottore non era in casa, così abbiamo pensato di controllare in obitorio. Nel parcheggio abbiamo notato la Volvo della Zuckerman, poi l'ingresso dei veicoli socchiuso.»
«Ma il personale addetto alla sicurezza dov'era?»
«Lucas li aveva mandati tutti a casa. Pensiamo che avesse intenzione di fare una rapida autopsia a Maria Zuckerman.»
«Visto il grande dolore provato per la collega caduta.»
Ryan annuì. «Quando siamo arrivati alla sala autopsie, il cervello di Lucas decorava le pareti. Tu avevi perso conoscenza, così abbiamo messo il tuo grazioso sederino in un'ambulanza e siamo tornati a torchiare Serano.»
Ryan mi spostò i capelli dalla fronte, e mi guardò con un'espressione che non riuscii a decifrare.
«Lucas aveva ordinato a Serano di farti fuori. Il metodo prescelto era il soffocamento. Tu hai fatto la tua parte, andando a fare la doccia del secolo. I martelli pneumatici avrebbero fornito la giusta copertura sonora. Serano ti ha drogato la Diet Coke, e progettava di aspettare chiuso nell'armadio il momento giusto per soffocarti con il cuscino. Ma... inconveniente: è arrivata una cameriera e il nostro se l'è squagliata muy pronto.»
«Hai parlato con i gestori?»
Ryan annuì. «La cameriera pensava che fossi io.»
«Ma cosa diavolo mi ha messo nella Diet Coke?»
«Chi lo sa? Serano non ha specificato. Abbiamo detto al personale dell'ospedale che avevi un'intossicazione alimentare. E ti hanno svuotato lo stomaco. La lattina di coca è finita nella pattumiera.»
«Mi ha messo letteralmente fuori uso.»
«L'intento era proprio quello. I medici pensano che l'Imodium ha neutralizzato in parte l'effetto della droga, e ti ha mantenuta cosciente. E poi, un po' l'hai anche vomitata.»
Mi fece un buffetto sul mento.
Gli allontanai la mano. Trasalii.
«Il polso come va?»
«È solo una distorsione.»
Ryan mi prese la mano e mi baciò le dita.
«Ci hai fatti preoccupare, pasticcino.»
Imbarazzata, cambiai argomento.
«È stato Lucas a far uccidere Nordstern?»
«Pare che Nordstern fosse arrivato qui per scrivere un articolo su Clyde Snow e il suo impegno per i diritti umani. Raccogliendo materiale su Chupan Ya e su altri massacri, Nordstern ha messo le mani su un vecchio documento dell'esercito che parlava di Alejandro Bastos e Antonio Díaz. In qualche modo il documento avrebbe esposto Díaz, e così Lucas avrebbe perso il suo potere su di lui. Potrebbe averlo fatto uccidere per questo.
«Ma è più probabile che la sua morte sia legata a Patricia Eduardo. Pare che Nordstern fosse un ficcanaso incline alle pari opportunità. Una volta arrivato a Ciudad de Guatemala, forse aveva letto o sentito delle ragazze scomparse, e ha cominciato a indagare. Quando ha scoperto che una delle ragazze era la figlia di un ambasciatore, si è messo su quella pista. E quando è venuto a sapere che Chantale aveva dei problemi e che l'ambasciatore era un satiro, ha cercato di ricavarne qualche particolare.»
«Ma perché è andato a Montréal?»
«Era arrivato al nostro stesso punto. E ha pensato che poteva scrivere l'articolo del decennio se avesse potuto collegare Specter al cadavere nella fossa biologica. Un vero colpo. Un diplomatico. Ragazzine ingenue. Sesso. Omicidi. Morti misteriose. Pozzi neri. Immunità diplomatica. Intrigo in terra straniera. Ma non credo sapesse che Patricia era incinta.»
Mentre parlava Ryan mi accarezzava il dorso della mano.
«Dio solo sa come è riuscito a collegare la storia delle cellule staminali. Abbiamo trovato una ricevuta della Pensión Paraíso tra la documentazione delle varie spese di Nordstern.»
«È andato a stare lì?»
«Le menti indagatrici non accettano limiti. È così che Nordstern ha conosciuto Serano.»
«Che lo ha portato fino alla Zuckerman.»
«Che ha suscitato la sua curiosità a causa delle cellule staminali.»
«Che lo ha portato a farsi ammazzare, se l'ipotesi Díaz non dovesse reggere.»
Per qualche secondo non parlammo. Poi: «Come sta Chantale Specter?».
«Risarcimento al negozio MusiGo, e poi centro di recupero.»
«Lucy Gerardi?»
«In custodia presso i genitori. Senza l'aiuto di Chantale, non può fuggire.»
Formulai la domanda successiva con un certo timore.
«E l'indagine interna?»
«Il Dipartimento e io concordiamo sul señor Vicente.»
«Sono contenta, Ryan. Non avevi altra scelta.»
L'infermiera Kevorkian venne a controllare la mia fleboclisi.
«Galiano dov'è?» chiesi quando la donna uscì dalla stanza.
Un fremito sulla fronte.
«Dice che verrà a trovarti.»
Ryan mi passò un braccio dietro le spalle, mi attirò a sé e mi appoggiò la guancia sulla testa.
Mi sentii invadere da un calore rassicurante.
«Quando ti ho visto distesa a terra, ieri sera, accanto a una pistola e a un cadavere, mi sono sentito sopraffatto da un senso di smarrimento.»
Ero troppo sorpresa per parlare. Forse il silenzio era la risposta migliore. Qualunque cosa avessi detto, sarebbe stata sbagliata.
«E ho capito una cosa.»
La voce di Ryan era strana. Mi premette la testa contro il suo petto.
«O forse finalmente ho accettato di ammetterlo.»
Ryan mi accarezzò i capelli.
Che cosa? Di ammettere cosa?
«Tempe...»
Oh mio Dio! Stava per caso pronunciando la parola con la A?
Ryan si schiarì la voce.
«Ho frequentato troppo il lato oscuro della vita per fidarmi delle persone e in genere non credo al lieto fine.» Lo sentii deglutire. «Ma di te ho imparato a fidarmi.»
Mi riadagiò sui cuscini e mi baciò sulla fronte.
«Dobbiamo ripensare a che punto siamo l'uno con l'altra.»
Avrei voluto parlare, proseguire il suo discorso, ma le mie palpebre non collaborarono.
«Pensaci.» E due occhi di fiordaliso mi arrivarono fino all'anima.
Ci puoi scommettere.
Quando mi risvegliai, Mateo ed Elena mi stavano guardando. Il viso di Elena era così contratto per la preoccupazione che ricordava uno sharpei.
«Come stai?»
«Sana come un pesce.»
Mateo e io scoppiammo a ridere. Mi fece un male terribile.
«Perché ridete?»
«È una cosa che aveva detto Molly.»
Mi assicurarono che il lavoro di Chupan Ya procedeva, mi dissero che gli abitanti del villaggio stavano organizzando il funerale. Mateo aveva appena parlato con Molly. Si era ripresa quasi completamente.
Di nuovo, nonostante i miei sforzi, non riuscii a rimanere sveglia.
Il prossimo fantasma a comparire accanto al mio letto fu Galiano.
Con un mazzo di fiori.
Quel posto cominciava a sembrare una camera ardente.
«Avevi ragione circa l'aggressione ai tuoi colleghi.»
«Molly e Carlos?»
Galiano annuì. Come Ryan, non aveva un aspetto curatissimo.
«È stato Jorge Serano a tendere l'imboscata.»
«Ma perché proprio loro?» domandai.
«Scambio di persona. Lucas ha mandato Serano ad ammazzarti. Voleva neutralizzare la squadra che si occupava del recupero di Chupan Ya eliminando la persona di punta. E Serano pensava che su quella macchina ci fossi tu.»
Una sensazione di gelo mi strinse il petto. Senso di colpa? Dolore? Rabbia?
«Perché volevano impedire il recupero di Chupan Ya?»
Galiano accennò una scrollata di spalle. «Probabilmente Lucas non voleva perdere il suo scudo.»
«Díaz.»
Galiano annuì. «O forse Lucas temeva che Díaz sapesse troppo, e che se avessimo arrestato il procuratore per il ruolo avuto nel massacro, il verme avrebbe cominciato a trattare.»
«Bastardo schifoso.»
«Quando Lucas ha scoperto che avevo chiesto l'autorizzazione di coinvolgerti nelle indagini sulla Pensión Paraíso, ha avuto una ragione in più per volerti eliminare.»
Galiano mi prese la mano. La sua pelle era ruvida e fresca. Mi baciò le dita.
Prima Ryan e adesso Galiano. Cominciavo a sentirmi come un papa.
Mi premette le labbra contro il palmo.
Okay. Non proprio il papa.
«Sono contento che tu stia bene, Tempe.»
Non stavo affatto bene. E secondo dopo secondo, stavo sempre peggio. Che cosa aveva la mia libido con quei due uomini?
«Continua.»
«Lucas aveva già in pugno Serano, perché era lui che aveva gettato il cadavere di Patricia Eduardo nella fossa biologica di papà. E quindi ha accettato di occuparsi anche dell'aggressione di Sololá.»
«Ma perché ha nascosto Patricia così vicino a casa?»
«Gliel'ho domandato. L'idiota ha detto che il corpo si sarebbe disintegrato nel giro di qualche settimana. Ma quando le tubature della Pension Paraíso si sono intasate, e papà ha cominciato a ficcare il naso nel pozzo nero, il piccolo Jorge se l'è quasi fatta sotto.»
«Chi ha ucciso Patricia?»
«Lucas.»
«Perché?»
«Patricia vedeva un uomo sposato, è rimasta incinta, ha chiesto aiuto alla Zuckerman. La dottoressa può aver visto in lei una donatrice di cellule staminali. E in tutto questo, Patricia deve aver scoperto la fabbrica di cellule ES.
«Patricia e la Zuckerman devono aver litigato e Patricia potrebbe averla minacciata di rendere pubblica l'intera faccenda. La Zuckerman forse l'ha riferito a Lucas. Lucas ha eliminato Patricia dall'equazione e ha assoldato Serano per liberarsi del cadavere. E adesso Serano sta usando quello che sa per ottenere uno sconto di pena. È in modalità di trasmissione da quando lo abbiamo preso.»
«Ma lui non sa che la Zuckerman e Lucas sono morti?»
«Forse ci siamo dimenticati di dirglielo.»
«Come ha fatto Serano a finire nel giro?»
«Diciamo che lo stile di vita di Jorge eccedeva le sue capacità di guadagno sul libero mercato del lavoro.»
«Fare il gorilla di Lucas rendeva bene?»
«Meglio che ramazzare le stanze della Pensión Paraíso. Lucas non voleva sporcarsi le mani. Jorge voleva i soldi.»
«E Nordstern?»
«Lucas ha cercato aiuto esterno per freddare Nordstern. Ha pensato che Jorge fosse ancora un novellino per andare all'estero.»
«Secondo te Nordstern aveva capito che cosa stava succedendo con le cellule staminali?»
«Nel suo portatile abbiamo trovato molte cose interessanti. Nordstern ha fatto diverse ricerche sulle cellule staminali ES e sulla decisione statunitense di limitare i finanziamenti. Gran parte delle ricerche in Internet risalgono al periodo durante o dopo il soggiorno alla Pensión Paraíso.»
«Dopo che Serano poco astutamente lo aveva condotto alla clinica della Zuckerman.»
«Una piccola effrazione non sarebbe stata estranea allo stile di Nordstern. Probabilmente si è introdotto nel laboratorio, ha frugato tra i file della Zuckerman e ha capito che cosa stavano facendo Lucas e la dottoressa. Forse ha indovinato che progettavano di fare fortuna con il mercato nero.»
«Ma quando è iniziata tutta questa storia?»
«Anni fa. La Zuckerman aveva studiato la derivazione di cellule staminali embrionali dall'unione di ovuli e di sperma. Si procurava ovuli e sperma dai donatori, li metteva insieme per ottenere gli embrioni, quindi li distruggeva e manteneva le cellule staminali in coltura.»
Attesi che proseguisse.
«Pare che Lucas a un certo punto si sia spazientito per gli scarsi progressi della Zuckerman e abbia insistito perché lei provasse con un'altra tecnica.»
«I cadaveri.»
Galiano annuì. «Lucas rubava i tessuti durante le autopsie.»
«Gesù.»
«Ma la percentuale di successo è più elevata con i bambini.» Galiano mi guardò negli occhi. «E in un obitorio non arrivano tanti bambini. Il portatile di Nordstern era una miniera di articoli sui bambini di strada di Ciudad de Guatemala.»
«Nordstern pensava che Lucas uccidesse gli orfani per procurarsi i loro tessuti?» domandai, la voce incrinata dalla rabbia e dal disgusto.
«Non abbiamo trovato prove, ma stiamo indagando.»
«Gesù santo.»
Cadde il silenzio. Un carrello cigolò in corridoio. Una voce metallica chiamò il dottor Qualcuno.
«Che mi dici di Miguel Gutiérrez?»
«Un poveretto fuori di testa che non poteva avere la ragazza che voleva.»
«Claudia De la Alda.»
Galiano annuì.
«È tutto molto triste, vero?» commentai.
Inaspettatamente si sporse verso di me e mi baciò. Le sue labbra erano morbide e calde, il naso ruvido contro la mia pelle.
«Però ho conosciuto te, corazón.»
31
A metà giugno il nostro lavoro a Chupan Ya era finito.
Ventitré serie di resti erano stati restituiti alle loro famiglie. Il villaggio aveva seppellito i suoi morti con una cerimonia solenne, molta commozione e un enorme senso di sollievo. Clyde Snow era arrivato dall'Oklahoma per partecipare ai funerali, cui era presente anche tutta l'equipe della FAFG. La sensazione era quella di un difficile lavoro eseguito bene. Avevamo lottato per qualcosa. Avevamo acceso una scintilla nel buio.
Ma il buio era tanto e molto fitto. Pensavo alla señora Eduardo e alla señora De la Alda, e alle loro figlie.
Pensavo alla repressione, all'avidità, alla psicosi. A belle persone scomparse per sempre.
Hector Lucas, Maria Zuckerman e Carlos Vicente erano morti. Jorge Serano e Miguel Angel Gutiérrez invece erano in carcere.
Mateo ed Elena stavano scrivendo una dettagliata relazione su Chupan Ya.
Forse qualcuno avrebbe preso in considerazione tutte quelle atrocità.
Nel 1982 e 1983 centinaia di villaggi erano stati distrutti e migliaia di persone assassinate, mentre il generale Efraín Ríos Montt era presidente del Guatemala. Nel giugno del 2001, le vittime dei massacri denunciarono il generale Montt, a quel tempo capo del parlamento guatemalteco, accusandolo di essere il responsabile di quel genocidio. La causa incontrò molti ostacoli. Speriamo di averne rimosso qualcuno.
Le dieci e un quarto. 21 giugno. Il primo giorno d'estate nell'emisfero settentrionale. Inverno in Guatemala.
Gettai in valigia gli ultimi articoli da toilette e controllai la stanza. Un piccolo telo tessuto a mano che avevo acquistato al mercato di Chichicastenango era appeso sulla testiera del letto. Lo staccai e lo osservai ancora una volta.
Il kabawil è un motivo molto diffuso nei tessuti maya. Kaba significa due. Wil significa testa. Secondo la leggenda, l'uccello a due teste può vedere di notte e di giorno, da vicino e da lontano. È il simbolo del presente e del futuro, dei progetti a lungo e di quelli a breve termine. Rappresenta la relazione tra gli umani e la natura.
Misi il mio kabawil in valigia.
Il kabawil rappresenta anche le relazioni tra uomini e donne.
Avevo trascorso molte notti a riflettere sulle mie relazioni con gli uomini. Con due uomini, per essere precisa.
Ryan non era più tornato sull'argomento sollevato in ospedale. Forse il fatto che mi fossi rimessa aveva sopito le sue paure. O forse avevo sognato di sentire quelle parole. In compenso mi aveva proposto una vacanza insieme.
Anche Galiano voleva portarmi via.
Sapevo che iniziavo ad assomigliare alla fotografia del mio passaporto. Perciò avevo bisogno di una pausa.
Sapevo anche che la mia vita privata aveva imboccato una strada che non portava da nessuna parte. O forse la mia vita privata non aveva imboccato nessuna strada.
Avevo preso una decisione.
L'esperienza è una cosa preziosa. Ci permette di riconoscere gli errori, quando li ripetiamo.
Stavo commettendo un errore?
Se non avessi tentato, non l'avrei mai capito. Volevo ritrovare la felicità con tutte le mie forze, e stavo facendo tutti i passi necessari. Ma non ero sicura del mio successo. Ancora una volta, più di qualsiasi altra volta, il mio lavoro mi aveva lasciato ferita, vulnerabile, e la guarigione non sarebbe stata rapida.
Quando pensavo alla signora Ch'i'p sentivo sempre un grande senso di vuoto.
Squillò il telefono.
«Sono nell'atrio.»
La sua voce suonò lieve, come non lo era da settimane.
«Ho appena finito di fare i bagagli» dissi.
«Spero che tu sia pronta a tanto sole e tanta sabbia.»
«Sto prendendo tutto il necessario.»
«Pronta?»
Oh, sì. I capelli erano così lucenti che rischiavano di accecare per il riverbero. Portavo sandali e prendisole. Mutandine e reggiseno delle grandi occasioni.
Fard e mascara.
Ero pronta.
FINE